Le speculazioni azzardate non si bloccano con le tasse

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Le speculazioni azzardate non si bloccano con le tasse

Le speculazioni azzardate non si bloccano con le tasse

29 Giugno 2010

Silvio Berlusconi e Barak Obama sono riusciti a trainare il G20 verso una linea equilibrata, sia con riguardo alla questione della politica fiscale, in relazione alla conciliazione fra rigore e crescita, sia con riferimento alla questione della politica verso le banche: se essa debba basarsi sulle tasse o sulle regole.

Angela Merkel in cambio della rinuncia alla adozione di una tassa sulle operazioni bancarie di compra vendita di titoli originari e derivati, ha ottenuto che entro il 2013 tutti gli stati membri dimezzino il rapporto fra il deficit di bilancio e il pil. Questa “concessione” implica il riconoscimento che la politica di rigore non contesta con quella di sviluppo, anche se essa comporta una diminuzione della domanda globale generata dal governo, che ha luogo in un periodo di depressione dell’economia. Con una disoccupazione molto elevata che nell’area euro è al 10,3 % e dovrebbe salire al 10,4 nel 2011 e va dall’8,7 per cento per gli stati più fortunati, come l’Italia, sino al 18-20 per cento per quelli in crisi come la Spagna e la Grecia e che è estremamente elevata anche negli Usa , in cui è nel 2010 il 9,7% e, nelle previsioni, si manterrebbe al 10,8% nel 2011.

In Gran Bretagna la disoccupazione è il 7,8% e doveva scendere al 7,4 nel 2011, con le politiche dei laburisti, ma è destinata a salire con quelle più restrittive, che i conservatori accettano considerando non il risultato di breve periodo ma quello di medio e lungo termine.

Nell’Unione europea nel complesso la disoccupazione, comunque, nel 2010, è al 9,8%. E prima delle politiche restrittive ora annunciate, la si stimava al 9,7% .

I neo kynesiani, in presenza di elevata disoccupazione e di capacità produttiva inutilizzata, sostengono che occorrano politiche di disavanzo di bilancio. Ma sino ad ora negli USA, in cui dal deficit fra entrate e spese del 2,7% del 2007 si è passati al deficit del 6,4% % nel 2008, al deficit dello 9,9% nel 2009 , a quello del 10,1 nel 2010 e del 10% nel 2011, secondo le previsioni prima del 20, la disoccupazione è passata dal 4,5% nel 2007, al 5,8% nel 2008, al 9,3% nel 2009, al 9,7% nel 2010.

E in Gran Bretagna con un deficit che nel 2007 era il 2,8% , mentre nel 2008 era aumentato al 4,9%, per balzare allo 11,5% nel 2009 e al 12% nel 2010, per scendere nelle previsioni del governo laburista solo al 10% nel 2011, la disoccupazione è salita dal 5,3% nel 2007, al 5,6 nel 2008, per balzare al 7,6% nel 2009 e arrivare al 7,8% nel 2010.

Nell’Unione europea, dal deficit dello 0,6 nel 2007 si è passati al deficit del 2,3 nel 2008, a quello del deficit del 6,8% nel 2009 e a quello del 7,2 nel 2010, mentre la disoccupazione aumentava dal 7,1 del 2007 al 9,8 del 2010. E se si considera l’area euro, in cui da un deficit dello 0,6 nel 2007 si è passati ad uno del 2% nel 2008, poi a uno del 6,3% nel 2009 e al 6,6 nel 2010, la disoccupazione è aumentata nello stesso intervallo di tempo dal 7,7 al 10,3%. In sostanza con un deficit che è aumentato di 6 punti, la disoccupazione è aumentata di 2,8 punti.

Le situazioni di deficit crescente, dovute a scelte esplicite o subite, non hanno evitato l’aumento di disoccupazione. Le politiche neo keynesiane, dunque, non sembrano efficaci . E pertanto nel G20 del Canada è passata la tesi per cui una politica di deficit pubblico neo keynesiana non è la soluzione per la crescita, dati i gravi squilibri della finanza pubblica dei paesi industrializzati, che comportano un eccesso di emissioni di debito pubblico, in presenza di strutture bancarie deboli, che stentano a finanziare le imprese ed hanno enormemente rallentato il credito alle famiglie.

Va tuttavia notato che la Germania di Angela Merkel non è riuscita a far valere la sua linea di rigore, che era più drastica di quella accolta dal G20 e che se fosse perseguita per davvero da tutti gli stati con alti deficit pubblici probabilmente genererebbe una deflazione, in quanto avrebbe pericolosi effetti deflazionistici.

Il dimezzamento nel 2013 del deficit del 2010 in effetti individua un percorso di rigore, atto a rassicurare i mercati sulla sostenibilità della marea di debiti pubblici che da qui ad allora saranno emessi sul mercato, ma non individua un traguardo deficit al di sotto del 3% nel 2013. Infatti per il Regno Unito la riduzione a metà del deficit, nell’intervallo temporale considerato, comporta di ridurlo dal 7,8 al 3,9%. Per gli Usa considerando il solo deficit federale e non quello globale , inclusivo del deficit degli stati e degli enti locali, si tratta di ridurlo dal 7,2% del 2010 al 3,6%. Considerando il deficit globale del 2010 che è il 1°,1% , il dimezzamento porterebbe al 5,05 %. Per l’euro zona si tratta di scendere dal 6,6% al 3,3% e per l’Unione Europea dal 7,3% al 3,6%. Per il Giappone la discesa, considerando il bilancio del governo centrale, sarebbe dal 4% al 2%, ma nel 2010 il deficit complessivo, fra entrate e spese era del 6,7% e non il 4% e il suo dimezzamento porterebbe al 3,3%.  Dunque la Merkel si è rassegnata a non vedere gli stati industrializzati del G20 un rientro entro il 2013 all’interno del parametro di Maastricht del 3% che la Germania vorrebbe fosse perseguito in modo più puntuale.

Ma si tratta, comunque, di un impegno molto importante, che, ove perseguito, è destinato a modificare radicalmente il rapporto fra offerta e domanda di debiti pubblici, evitando che il rialzo di tasso di interesse che le Banche centrali dovranno adottare, generi un soffocamento della ripresa, per il scontrarsi fra le richieste di finanziamento dei governi e quelle dell’economia, nel settore delle imprese e delle famiglie. 

Il G20 per le banche ha puramente stabilito che dovranno contribuire al risanamento del settore finanziario, mediante un’ampia gamma di approcci politici. Si tratta di un impegno che può essere realizzato in tanti modi, non necessariamente con la tassa sulla compra e vendita di titoli.

Barak Obama è contrario a questa tassa perché gli Usa hanno approvato una complessa regolamentazione degli intermediari finanziari, in cui dovrebbe essere incluso un maggior controllo delle operazioni delle banche sui titoli, con particolare riguardo ai derivati e alle compra vendite a termine allo scoperto, per altro con una impostazione discrezionale nel soldo della concezione dirigista delle autorità indipendenti di controllo dei mercati. 

L’Europa non è ancora riuscita ad accordarsi su una regolamentazione di queste operazioni, soprattutto per l’ostilità di Londra. Ma essa, almeno per l’euro zona, è indispensabile e non può essere sostituita da una tassa sulle operazioni finanziarie delle banche. Come osserva Berlusconi, se questa tassa la applicassero solo alcuni stati, le banche di tali stati vi potrebbero sfuggire effettuando le operazioni in questione tramite uffici bancari negli stati esenti. E poiché gli Stati Uniti e il Canada hanno dichiarato che non applicheranno questo tributo, gli stati europei che introducessero questa tassa incoraggerebbero le proprie banche a spostare queste operazioni nel Nord’America.

Ma ammettiamo che si introduca questa tassa in Italia e si si stabilisca che anche le operazioni di compra vendita di titoli effettuate all’estero per conto di clienti italiani debbano pagare il tributo quando le contropartite di tali operazioni arrivano sui conti italiani. Davvero si può pensare che la banca non si rivalga della tassa sui clienti, aumentando le commissioni a loro carico? Si dirà che le banche spesso fanno queste operazioni, non per i clienti ma per conto proprio, impiegando i soldi dei depositi bancari. In effetti con la nuova tassa queste operazioni diventerebbero più costose. E diverrebbero più costose le vendite allo scoperto di titoli del debito degli stati dell’euro zona in crisi, come Grecia, Portogallo, Spagna.

La Banca Centrale Europea, per evitare il crollo delle quotazioni del debito di questi stati, attualmente ne compera quote consistenti. Inoltre accetta questi titoli come garanzia, per i prestiti che dà alle banche. Non è buona cosa che il portafoglio della Bce si infoltisca di titoli del debito pubblico di stati con basso merito di credito. Ma la via maestra per ottenere ciò è quella di risanare le finanze degli stati emittenti, non quella di lasciarli andare alla deriva e di impedire che la Bce contrasti le pressioni speculative ingiustificate. E la tassa proposta dalla Merkel è un’arma a doppio taglio. Infatti, quando si vendono i titoli allo scoperto, per guadagnare sul loro ribasso, ci sono comunque dei compratori di questi titoli. E la tassa sulla loro vendita va a finire sui compratori, che non essendo donatori di sangue, la scaricheranno sugli stati emittenti dei titoli in questione facendoli scendere ulteriormente. E ciò peggiorerà le quotazioni del debito degli stati in crisi. Inoltre, le banche fanno anche operazioni di acquisto a termine su titoli che prevedono che salgano. E la tassa penalizzerebbe anche queste operazioni, magari poco rischiose. 

Invece che ricorrere alla tassa, che colpisce alla cieca operazioni ad alto e basso rischio, bisogna introdurre la regola che le banche facciano queste operazioni, con un patrimonio adeguato al rischio. Questo scopo lo si raggiunge stabilendo che le banche che fanno operazioni finanziarie, le debbono effettuare con banche d’affari anche proprie, dovranno avere un proprio patrimonio, a garanzia del rischio che corrono con le operazioni finanziarie fatte con denaro presto a prestito. E se queste banche d’affari non hanno patrimoni adeguati per i rischi in cui si ingaggiano , aumenterà il rischio per le banche che danno loro le provviste finanziarie . Esse dovranno dedicare una quota maggiore del loro patrimonio a questi finanziamenti, che così saranno mero redditizi.

Le speculazioni azzardate non si bloccano con le tasse, ma con la semplice regola che alla roulette si gioca con le proprie fiche o con quelle prestate da un soggetto che ha i mezzi adeguati per pagare di tasca propria, se sbaglia. Dal Canada è venuto un messaggio per l’Europa. Abbiamo bisogno di regole del gioco per la nuova finanza, basate sui principi del mercato di concorrenza, che sono quelli della trasparenza e della responsabilità.