Le tasse alte rendono l’Italia poco competitiva

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Le tasse alte rendono l’Italia poco competitiva

08 Ottobre 2009

Quando si elencano i successi del Governo Berlusconi, è naturale richiamare la gestione delle (purtroppo) molte emergenze cui l’esecutivo si è trovato a fare fronte: la crisi campana dei rifiuti, il terremoto de L’Aquila, l’alluvione di Messina. Se vogliamo, anche la recessione economica è rubricabile nella categoria emergenze. Sicuramente emergenziale, infatti, è stata la reazione che ad essa ha opposto l’esecutivo: gli ammortizzatori sociali in deroga, per fare l’esempio più significativo, la garanzia dei conti correnti o i Tremonti-bond. Ultima tra le misure d’emergenza, c’è stato lo scudo fiscale: la condizione precaria dei conti pubblici ha costretto Tremonti a fare di necessità virtù, e grazie ai capitali che rientreranno in Italia lo Stato beneficerà di un gruzzoletto di alcuni miliardi di euro molto utile per impostare la manovra finanziaria, senza carichi ulteriori sul debito pubblico e senza aumenti di tasse.

Sulla gestione dell’emergenza, però, anche quando è ineludibile come a L’Aquila o molto proficua come lo scudo fiscale, è possibile costruire il consenso nell’immediato, ma non si pongono le basi per un generale miglioramento ed ammodernamento del Paese.

Prima della crisi economica internazionale, il Pil italiano è cresciuto per anni al ritmo dello “zero virgola” ed è probabile che, passata la recessione, torni allo stesso livello: se così sarà, ci vorrà un decennio perché il prodotto torni ai livelli pre-crisi, mentre le tensioni demografiche e sociali non potranno che aumentare nel frattempo.

L’invito che Giuliano Ferrara ha rivolto recentemente al presidente del Consiglio – di abbandonare gli "ozi di Capua" e mettere mano alle riforme necessarie al Paese – è allora quanto mai condivisibile: oltre le emergenze, c’è da rinnovare l’ordinario, rilanciando l’economia, liberando le energie del paese, aprendo l’Italia alla sempre più accesa competizione internazionale. E per farlo, non c’è modo migliore che quello di tornare all’ortodossia berlusconiana del "meno tasse per tutti", perché l’eccessiva pressione fiscale sui lavoratori e sulle imprese è direttamente o indirettamente una delle maggiori cause della debolezza italiana.  

Da questo punto di vista, lo scudo fiscale è paradigmatico di questa necessità di un "ri-orientamento" dell’azione di governo dall’emergenza all’ordinario. In un Paese in cui la pressione fiscale è così alta, l’incentivo a sfuggire al fisco è altrettanto elevato. In altre parole, le tasse elevate rendono l’Italia poco competitiva rispetto ai paradisi fiscali. Questi ultimi non vanno demonizzati (la competizione che essi determinano contribuisce a moderare la pressione fiscale nel mondo), ma se si vuole essere efficaci nell’evitare che tanti capitali italiani (circa 300 miliardi, raccontano le stime) riparino in queste isole felici bisogna adottare una misura particolarmente attraente.

Ecco perché l’aliquota del 5 per cento non può far gridare allo scandalo: le politiche pubbliche sono sistemi di incentivi, il gravame fiscale italiana è un forte incentivo all’evasione fiscale e ci vuole un incentivo altrettanto robusto per promuovere un certo comportamento, in questo caso il rientro dei capitali. Tuttavia, una volta che una porzione consistente di queste risorse è tornata sul suolo patrio, si pone il problema di come farcela restare e di come evitare che l’emorragia verso i paradisi fiscali riprenda subito. Se vogliamo scongiurare il rischio che da qui a qualche anno si debba di nuovo parlare di scudo fiscale, c’è da impostare un’azione strutturale di riduzione della pressione fiscale.

E’ qui che si passa dalla gestione dell’emergenza al governo del futuro: in un mondo in cui la competizione fiscale sulle imprese è sempre più accesa, dove l’aliquota marginale sui redditi più alti determina la scelte di vita e di residenza dei migliori cervelli, che ruolo vuol giocare l’Italia?

Soffia sull’Europa un vento nuovo: premiando i liberali di Westerwelle (con i quali la CDU formerà il prossimo governo), gli elettori tedeschi hanno messo in agenda la riduzione delle tasse; una vittoria conservatrice in Gran Bretagna aprirebbe anche a Londra la questione fiscale, come mostrano le recenti dichiarazioni di Cameron e dei suoi. Il centrodestra italiano vuol restare fuori dalla partita?