
Le uova contro Napolitano sono indice dell’impopolarità del governo Monti

31 Gennaio 2012
Il lancio di nuova al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a Bologna, nell’Università e dintorni, nel corso della seduta per la sua laurea honoris causa e la sua Lectio Magistralis, è un fatto deprecabile, ma anche un segnale che non va sottovalutato. Infatti esso non riguarda la sua persona, dal punto di vista storico-politico, ma il suo ruolo attuale in relazione al governo tecnico di Mario Monti, che egli ha fatti senatore a vita e che gode del suo pieno sostegno.
Quel lancio di uova, nella sua anti democraticità, è diretto non contro di lui, ma contro il governo in carica, non solo il premier, ma il governo nel complesso. La recessione sta mordendo il paese. Secondo l’ultima valutazione, quella di Moody’s, il decreto salva Italia nel 2012 fa scendere il Pil dell’1 per cento e salire la disoccupazione dallo 8,2 allo 8,8 per cento. E, aggiungo, farà scendere il gettito delle pubbliche entrate vanificando almeno per metà, se non di più, il miglioramento del bilancio dovuto alla manovra.
E’ alla luce di questi fatti che va valutato il terzo decreto di questo governo, quello sulle semplificazioni, varato la scorsa settimana, con un surreale messaggio sui miliardi che farà risparmiare agli italiani e sulla grande rilevanza strutturale e culturale di questa operazione. Hanno perfettamente ragione l’ex ministro della Semplificazione Roberto Calderoli e l’ex ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani ad osservare criticamente che ora il presidente della Repubblica consente di fare per decreto legge gran parte di quelle misure che loro avevano predisposto e per le quali la decretazione d’urgenza era stata negata. Si tratta, senza dubbio, di una incongruenza. E ciò doppiamente. Innanzitutto, se la necessità e l’urgenza allora non c’era, perché ora, dopo pochi mesi, si ammette che ci sia? Inoltre, e ciò è particolarmente rilevante, il testo di Romani accanto alle semplificazioni prevedeva norme per la crescita, poche o tante che fossero. E l’urgenza e necessità di un pacchetto per la crescita c’era e rimane. E solo in connessione ad esse, liberalizzazioni e semplificazioni hanno efficacia e acquistano una loro priorità.
Invece ora le norme sulla semplificazione vengono presentate, dopo quelle sulla liberalizzazione, senza alcuna concreta misura pro-crescita. Ciò mentre per il Fondo Monetario l’Italia nel 2012 decresce del 2,2%, per Moody’s dello 1%. Il decreto “Semplifica Italia”, contiene in teoria delle buone cose. Il problema che però lascia perplessi, è la portata che ciò può avere realmente nell’attuale situazione italiana, assieme alla natura di queste semplificazioni. Una parte consistente della semplificazione a favore delle imprese riguarda gli appalti pubblici. Oggi in media un’impresa presenta 27 volte la stessa documentazione. Il decreto legge prevede che tutti i documenti contenenti i requisiti di carattere generale, tecnico-organizzatico ed economico-finanziario delle aziende vengono acquisiti, e gestiti, dalla Banca dati nazionale dei contratti pubblici. In sé il fatto è positivo. È evidente che se si elimina una serie di documentazioni, si semplifica. E in sé è un provvedimento di buona portata. Ma la teoria da cui nasce ha un vizio di fondo. La semplificazione è di tipo formale, non sostanziale. Il dirigismo regolamentare degli appalti rimane quello di prima, non viene scalfito minimamente. La procedura non viene snellita. Si allevia solo la formalità della presentazione dei documenti richiesti ad ogni passaggio all’appaltatore. L’appaltante li consulta direttamente.
Il problema maggiore, inoltre, è un altro e riguarda il momento congiunturale dell’economia. Il governo semplifica la documentazione sugli appalti quando gli appalti sono bloccati e non ce ne sono di nuovi. E le fatture per i lavori pregressi vengono pagate con molto ritardo. Mi sembra che ridurre la documentazione diventi quasi una beffa in una situazione come questa. Si sta girando intorno al problema, che rimane quello della crescita.
Il governo continua a varare decreti, con una tempistica che non corrisponde alla realtà. Ridurre i documenti da presentare per gli appalti non serve ad accelerare gli appalti. E’ un provvedimento suggestivo e pittoresco che non riesce a convincere chi fa i conti con la dura realtà. I conti con una crescita che non viene affrontata nella giusta maniera. Si ripete, così, la situazione che si era creata con il decreto delle liberalizzazioni per l’aumento del numero dei taxi in un’epoca in cui la gente prende di meno il taxi perché ha un disperato bisogno di risparmiare su ciò che non è strettamente necessario; con l’aumento del numero di farmacie, mentre gli acquisti a pagamento nelle farmacie dei vari beni che esse offrono, oltre ai farmaci del servizio sanitario nazionale, sono in declino, perché la gente compra meno sciroppi per la tosse e meno dietetici perché ha meno soldi per il non indispensabile. E il decreto sulle liberalizzazioni ha aumentato il numero di notai mentre gli atti notarili sono in declino, a causa della cattiva congiuntura, che riduce gli affari.
Ora col terzo decreto, sulle semplificazioni, si crea un ente informatico che gestisce i certificati degli appalti, ma gli appalti languono, mentre sale il malcontento per la carenza di infrastrutture. Il ponte sullo stretto fra la Sicilia e la Calabria, secondo notizie di stampa sarebbe stato bloccato dal governo, per fare una economia di spesa, mentre l’erogazione di fondi statali è una quota molto modesta rispetto ai fondi privati e comunitari che questo investimento mobilita. Un investimento in un’opera di alta ingegneria particolarmente necessario per rilanciare la nostra immagine di ardimento tecnologico, dopo che è andata a picco la Concordia. Proprio in questi giorni, prima del lancio di uova, è balzata all’attenzione la questione dell’isolamento della Sicilia, la cosiddetta “protesta dei forconi”, che dall’isola è passata al continente con i camion in sciopero. Emerge, così, una serie di questioni sociologiche, economiche e logistiche che possono essere affrontate con una grande infrastruttura come il ponte sullo Stretto. Invece si continuano a lasciare gli autotrasportatori interregionali con i loro problemi. Essi e gli altri viaggiatori, sono costretti ad usare traghetto del “Caronte” per muoversi dalla e verso la Sicilia.
Se non si affronta il problema della crescita e delle infrastrutture che creano efficienza vera, tutti i provvedimenti di semplificazione sono palliativi e irrilevanti. E, comunque, come ho notato, queste semplificazione, per quanto utili, sono formali. Si dovrebbero attuare serie “cancellazioni” che riguardano norme fiscali, norme antiriciclaggio, norme e procedure giudiziarie. Il precedente governo avrebbe voluto farlo ma veniva bloccato. E’ stata abrogata, dai giustizialisti (e per avvantaggiare i monopolisti) la sua normativa sulle grandi opere, con procedure semplificate. Questo governo ha fatto l’opposto con divieto di circolazione del contante e con l’estensione delle regole sugli appalti. Mentre il precedente governo intendeva agire nella direzione sostanziale della semplificazione come deregolamentazione e dell’incremento degli appalti nel settore dei servizi pubblici locali e dell’edilizia. C’è un’altra semplificazione che suona male, nell’ultimo decreto, quella delle persone che vogliono sposarsi che avranno tempi più rapidi per i certificati riguardanti il matrimonio, mentre è diventato più difficile possedere la prima casa, colpita dall’ICI.
Il governo Monti è necessario. Siamo ancora in emergenza, per il debito pubblico, anche se la difficoltà di collocamento dei titoli pubblici è molto diminuita, a causa dell’intervento della Bce, che dà prestiti triennali all’1% alle banche, rendendo per loro conveniente l’acquisto di titoli pubblici di durata inferiore, pari o poco superiore ai tre anni e riducendo il rischio del deprezzamento di titoli di durata superiore ai tre anni. Ma i tassi non sono scesi abbastanza. Il percorso è ancora accidentato. Sono questi i problemi che inducono a ritenere necessario il governo tecnico emergenziale.
Ma esso dovrebbe avere diverse priorità, rispetto a quelle che sta adottando. Dovrebbe varare misure pro crescita, sia con il credito agevolato che si può attivare utilizzando per la provvista il nuovo strumento di finanziamento triennale Bce e anche tramite liberalizzazioni e semplificazioni che generano la messa in opera di cantieri di lavori pubblici, edilizia, infrastrutture. Dovrebbe aggredire il tema della flessibilità del lavoro mediante l’articolo 8 del ministro Sacconi, riguardante i contratti aziendali, anziché cercare di azzerare il lungo cammino riformista che nasce dalla legge Biagi. Le istanze, gli interrogativi di queste vie sbagliate, però, non riguardano solo il governo tecnico, riguardano soprattutto il PD e i partiti di centro, che si sono assunti l’iniziativa di surrogarlo al governo Berlusconi.