Lega e Pd si accordano per un  federalismo “al ribasso”

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Lega e Pd si accordano per un federalismo “al ribasso”

24 Marzo 2009

Con l’approvazione della Camera dei Deputati del disegno di legge delega (prevista per questa settimana, il testo andrà poi al Senato dove non dovrebbero esserci ulteriori modifiche), si conclude la prima fase del progetto di riforma che immeritatamente passa alla cronaca come “federalismo fiscale”: più onestamente, si sarebbe dovuto parlare di riordino della finanza locale e regionale.

Se questo fosse stato l’oggetto del provvedimento e non il fantomatico federalismo, non avremmo lesinato elogi ad alcuni elementi positivi del testo in esame: il superamento della “spesa storica” per il finanziamento dei livelli essenziali e dei livelli fondamentali di cui all’articolo 117 della Costituzione in favore del cosiddetto costo o fabbisogno standard; una timida, ma comunque aumentata, autonomia impositiva delle regioni e degli enti locali; l’istituzione di un meccanismo – il cosiddetto fondo perequativo – più trasparente per la redistribuzione tra territori rispetto agli attuali criteri, opachi, stratificati e farraginosi; una maggiore responsabilità gestionale attribuita alle amministrazioni locali. Un convinto riformatore non può non considerare positivo un qualsiasi passo in avanti. E la delega (molto ampia, va detto) che il Parlamento si accinge ad affidare al Governo sarebbe un passo in avanti rispetto allo status quo, una cassetta di attrezzi in mano all’esecutivo per una buona manutenzione della finanza pubblica regionale e locale.

Sarebbe un passo in avanti, se non si parlasse di federalismo, ma di questo si parla. E di federalismo, nel progetto, ce n’è sempre meno. Quando il Governo ha varato il disegno di legge ci si poteva chiedere se il bicchiere fosse mezzo pieno o mezzo vuoto: dopo i passaggi parlamentari, un bel po’ di acqua pare evaporata ed oggi conviene domandarsi quante gocce restino nel bicchiere. Una vera riforma federale avrebbe permesso all’Italia ciò che non è mai accaduto: la creazione di un forte legame tra imposizione e spesa (chi tassa, spende e rende conto ai cittadini); la piena autonomia e responsabilità dei governi territoriali, in primis quelli meridionali; una vera competizione fiscale tra aree del Paese, cosa che avrebbe promosso una riduzione della pressione fiscale e la creazione di un clima più favorevole agli investimenti. Una riforma autenticamente federale del sistema fiscale e di finanza pubblica – in un Paese che, come l’Italia, arriva al federalismo da un passato di stato centralista – avrebbe dovuto ripartire funzioni tra diversi livelli di governo, lasciando ognuno di questi libero di determinare la propria fiscalità (cosa tassare e quanto) e consegnando ad un meccanismo orizzontale di negoziazione inter-regionale la funzione perequativa e il finanziamento delle infrastrutture. Un vero impianto federale avrebbe rappresentato l’opportunità per l’Italia di “bonificare” il proprio sistema istituzionale e, soprattutto, di mettere fine all’atavica questione meridionale con l’unica soluzione che nel mondo ha dato buoni risultati: la responsabilizzazione delle classi dirigenti locali, con uno Stato che si astiene dall’intervenire per riparare alla malagestione, e la competizione fiscale.

La realpolitik ha invece svolto il suo compito. La Lega Nord, pur di presentarsi alle elezioni europee con un documento da chiamare “federalismo” e interessata a evitare il rischio di futuri referendum abrogativi, tradisce la sua storia autenticamente federale e accetta qualsiasi accordo al ribasso con la miope lobby meridionalista, con il Pd e persino con l’Idv. Il Partito Democratico può dire di aver ottenuto almeno due importanti modifiche: aver evitato – per usare le parole di Franceschini – la “balcanizzazione” o lo “spezzettamento” regionale dell’imposta sul reddito e aver ottenuto il richiamo al principio di unità nazionale (richiamo ridondante, in verità, come se non bastasse averlo in Costituzione). E’ una linea irresponsabile, quella del Pd: ha cercato e ottenuto l’asse con la Lega su una piattaforma anti-federale, che non a caso provoca pesanti critiche nel Nord, come dimostra la posizione di aperta critica di Mercedes Bresso, governatrice del Piemonte, ad un “disegno di legge ingannevole, che si annuncia come federale ma che di federalismo non ha proprio nulla”. Non c’è da però da nascondersi dietro ad un dito: se l’asse Lega-Pd tiene, a discapito di un vero federalismo, la responsabilità è del Popolo della Libertà. Il partito di maggioranza relativa del Paese, fulcro del Governo Berlusconi, pare in questo momento incapace di esprimere una linea coerente. Condizionato dalla Lega e spaccato “geograficamente” al suo interno, il Pdl oscilla tra il desiderio di una vera riforma federale e l’istinto di conservazione o, peggio, di sopravvivenza.

La partita, ad ogni modo, è ancora aperta. Il testo che il Parlamento affiderà al Governo contiene una delega ampia che, se ben sfruttata, potrebbe comunque permettere di “forzare” in senso federale. Rebus sic stantibus, tocca al Pdl scegliere quale “anima” far prevalere.