L’embrione non è una commodity

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L’embrione non è una commodity

28 Agosto 2015

La Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU) ha stabilito ieri, senza margini di ambiguità, che il divieto di distruggere embrioni umani non confligge con la Convenzione per i diritti dell’uomo. Trattare gli embrioni come proprietà privata, decidere a proprio piacimento se farli nascere, morire, o destinarli alla distruzione in laboratorio non è un diritto: l’embrione non può essere considerato una proprietà personale, come fosse un qualsiasi bene, un oggetto.

 

Anzi, nel caso specifico discusso dalla CEDU il divieto di distruggere gli embrioni formati è “necessario” – letteralmente, secondo i giudici europei – perché il padre di quegli embrioni, compagno della signora che ha presentato ricorso, è stato ucciso in Iraq, e non è possibile conoscere la sua volontà a riguardo.

 

La legge 40 passa quindi indenne al vaglio della Corte di Strasburgo. Curioso vedere come quando  la sentenza non va nella direzione sperata, tutti coloro che si aspettavano l’ennesima picconata alla legge sottolineano che si tratta di un pronunciamento su un caso singolo, che non ha alcun effetto di modifica del testo, come invece potrebbe averne la prossima sentenza della Corte Costituzionale, chiamata a decidere proprio sullo stesso argomento, cioè gli embrioni umani da destinare alla ricerca.

 

Nell’attesa della Consulta, sarà bene chiarire ancora qualche punto su cui i media si ostinano a tacere.

 

Il primo è che la ricerca sulle cellule staminali embrionali è decisamente ridotta alla marginalità. E’ stata soppiantata da quella con le cellule iPS, scoperte dal premio Nobel Yamanaka, prodotte grazie a una sua ricerca effettuata su embrioni non umani ma di topo. Ricordate la famosa “clonazione terapeutica” , con tutte le polemiche connesse, durante la battaglia referendaria del 2005? Forse la risposta è “no”, perché non ne parla più nessuno, e chi la invocava come la panacea di tutti i mali, la promessa delle cure per ogni malattia, adesso fa finta di niente.

 

Il secondo punto è che i ricercatori del settore non sanno che farsene, degli embrioni congelati definiti “sovrannumerari”, quelli che provengono dalla fecondazione assistita. Si tratta di embrioni che i genitori non richiedono più: in molti paesi dove questa ricerca è consentita – per esempio Gran Bretagna e Danimarca – gli embrioni sovrannumerari si buttano via a migliaia, nessuno li vuole, neanche gratis. I ricercatori preferiscono embrioni “freschi”,  prodotti appositamente.

 

Il terzo punto è che già esistono centinaia di linee staminali embrionali ricavate da embrioni umani, certificate, a disposizione dei ricercatori di tutto il mondo, e non risulta che si senta la mancanza di altre linee. Ma nonostante queste cose siano state ripetute e chiarite più e più volte, nonostante la ricerca sugli embrioni umani, su cui si è spesa tanta retorica scientista, non abbia mai prodotto nulla di utile (non una terapia, non una speranza concreta), leggiamo sui giornali commenti stupiti e costernati per una sentenza che appare controcorrente.  In realtà è solo una sentenza non ideologica ma ragionevole: speriamo che anche  la Consulta lo sia.