L’era post-americana non è affatto iniziata, almeno a Hollywood

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L’era post-americana non è affatto iniziata, almeno a Hollywood

14 Febbraio 2010

Le notizie dei decessi a mezzo stampa, quando risultano infondate, producono immancabilmente effetti contrari. Allungano la vita del presunto scomparso. L’ennesima conferma a questa legge non scritta, ma di ferrea applicazione, è il decesso (supposto) del cinema hollywoodiano. Neppure un anno fa si sprecavano i necrologi. Il più inquietante di tutti arrivò da un giornalista di valore, commentatore di politica internazionale di Newsweek, Fareed Zakaria.

Quando già i segnali della crisi cominciavano a farsi sentire piuttosto chiaramente, Zakaria pubblicò un manifesto molto liberal e molto obamiano (ancor prima di Obama): "L’era post-americana". Nell’apertura del saggio piazzò una terribile previsione per i produttori americani: «La più grande industria cinematografica, in termini sia di film girati sia di biglietti venduti, è l’indiana Bollywood, non Hollywood». Bella profezia! Il non meno autorevole New York Times, a poca distanza di tempo, aggiungeva un’altra sorprendente previsione. Finiti i quattrini non si faranno più film come una volta; adesso è scoccata l’ora del “neorealismo”. Arriveranno piccoli film, fatti con piccoli budget, con piccoli attori, per piccoli schermi. La realtà, la realtà che non si vede, ma azzanna alle caviglie l’America, invaderà lo schermo.

È successo niente di tutto questo? No, è successo l’esatto contrario. È arrivato Avatar. Lo tsunami in 3D di James Cameron. Ha polverizzato ogni barriera. Dall’uscita (il 18 dicembre dello scorso anno, cioè da nove settimane settimane) è il primo film d’America (e del mondo). Ha fatto registrare il maggior incasso della storia del cinema americano (e mondiale), superando la soglia dei 600.000 milioni di dollari, raggiunta dallo stesso Cameron con Titanic tra il 1997 e il 1998. In realtà, se aggiustiamo i dati calcolando l’inflazione, in assoluto Avatar è destinato a piazzarsi al massimo tra i primi quindici. Ma se lo paragoniamo ad un altro recente film dall’incasso mostruoso, "Batman. Il cavaliere oscuro" di Christopher Nolan, uscito appena due anni orsono (portò a casa, l’enorme, imprevedibile bottino di 500 milioni di dollari), si capisce con maggiore chiarezza la portata dell’effetto Avatar. Non si era mai verificato che lo stesso film si potesse vedere a poco tempo di distanza in tre formati diversi, pagando tre prezzi diversi: in una normale proiezione, in una sala con proiezione in 3D, in una sala IMAX.

Ovviamente, si potrà dire, i numeri sono un dettaglio; non spiegano nulla. Ma dai numeri eravamo partiti. E dovevano essere negativi. L’industria cinematografica americana, come volume di incassi in patria, è cresciuta nel 2009 del 10%. Dal 2000 solo un anno ha fatto registrare un segno negativo, nel 2005. Le inquietudini sociali causate dalla crisi, aggiunte alle pesanti lacerazioni della guerra, evocate dal critico del New York Times, si sarebbero dovute riversare nella nuova ondata di film realisti e minimalisti. Ma neppure questa previsione si è realizzata.

Un caso a dire il vero c’è stato.  Smentisce però, clamorosamente, le aspettative del quotidiano della Grande Mela. Gli americani sono impazziti per Paranormal Activity, film a budget quasi inesistente. Dal settembre scorso non si parla di altro. Come può un film costato appena 15.000 dollari incassare più di 100 milioni negli Stati Uniti, e tenere testa a megaproduzioni costate diecimila volte tanto? Come può un film girato in una casa su due piani, davvero piccola, con la telecamera a mano, posizionata sulle spalle o fissa davanti ad un letto, convincere gli spettatori a mettersi in fila a frotte e pagare il prezzo del biglietto? Evidentemente è possibile.

L’esordiente di origini israeliane Oren Peli, con due attori soltanto (un terzo appare brevemente solo due volte), è una troupe a dir poco familiare, sfrutta al meglio un’antica paura, degna della festa di Halloween, già sperimentata in passato con successo in The Blair Witch Project: la paura del demoniaco. Una coppia di ragazzi, sin troppo normali, vive in una casa a San Diego. Sono felici, si amano. Abitano in un bell’appartamento con piscina. Lei studia per laurearsi; lui ha una padronanza dell’elettronica. Lo vediamo installare una costosissima telecamera nella stanza da letto. A cosa serve? La ragazza avverte strane presenze nella casa. Sin da bambina convive con questo problema. Solo che adesso sta diventando una angosciosa nevrosi. Quindi la telecamera dovrà registrare, mentre dormono la notte, eventuali presenze altrimenti impercettibili.

Si parte dunque da un’esagerazione, assai improbabile: nell’epoca della riproducibilità tecnica, le immagini sono chiamate a testimoniare l’esistenza dell’invisibile. Eppure immagine dopo immagine, la preoccupazione si trasforma in ossessione; il timore in paura; l’incertezza in certezza. Uno spirito demoniaco vive accanto a loro, tormenta le loro notti, li sta riducendo a brandelli. Paranormal Activity è l’essenza purissima di un grande “imbroglio mediatico”. Il cinema americano distrugge ogni concorrente con la forza della tecnologia, come dimostra Avatar. Impossibile resistere alla tridimensionalità, ai meravigliosi effetti speciali, al romanticismo fuso all’ecologismo degli uomini blu. Infatti non si può resistere. Ma non si riesce a resistere neppure al contrario di tutto ciò. Basta realizzare, senza troppi sforzi, Paranormal Activity. Basta servirsi dell’immenso potere della rete. Basta credere nell’esistenza dei fantasmi. Poi si mette in giro la notizia che Spielberg, addirittura Steven Spielberg, si è spaventato, e ha dovuto interrompere la visione del film. Il gioco è fatto. Se Paranormal Activity si possa considerare un film, dal valore di sette euro la poltrona, è tutto da dimostrare. Quando si accendono le luci, molti spettatori pensano che lo spettacolo non sia ancora finito. Qualcuno sospetta un inceppamento della pellicola. Altri, certi che la storia debba ancora andare avanti, si aggrappano all’assenza dei titoli di coda. Ma che titoli possono esserci, in presenza di due attori, una casa, una telecamera e un fantasma (che peraltro non si vede)? Lo scorso weekend in Italia Avatar ha incassato 5 milioni e 600 euro (sfiorando i 47 milioni complessivi da quando è uscito); Paranormal Activity  3 milioni e 600. Primo e secondo film in classifica. A Roma Paranormal Activity dalle 26 sale dell’uscita (venerdì 5 febbraio) è sceso alle attuali 22, mentre nella provincia di Como, per citare un caso opposto, ha confermato le due. Splendida tenuta. Favorita anche dalle chiacchiere a ruota libera sulla invocata censura, che hanno tenuto banco con grande clamore per un paio di giorni, poi misteriosamente svanite. L’invocata censura non c’è stata, e i malesseri di alcuni adolescenti questa settimana con tutta probabilità non si ripeteranno. Insomma, per concludere, a dare una mano ai film americani (che di pubblicità gratuita non sentono proprio il bisogno) ci si mettono proprio tutti.