L’Europa alla prova di Obama: le priorità del nuovo corso
26 Gennaio 2009
Smaltita la sbornia della cerimonia di insediamento e finalmente preso possesso anche fisico della Casa Bianca, è giunto il tempo di valutare che tipo di ricadute concrete avrà per l’Europa (intesa come insieme di Stati Nazione, ma anche come insieme delle istituzioni europee) l’avvio di presidenza di Barack Obama. La nuova America di Obama, pronta a farsi carico del problematico “fardello” della leadership internazionale, ma allo stesso tempo decisa ad applicare una netta svolta che il segretario di Stato Clinton ha definito “diplomazia intelligente”, che tipo di rapporti instaurerà con il Vecchio Continente? E soprattutto quale sarà la risposta delle capitali europee e di Bruxelles una volta diradatasi la retorica del “presidente Usa moralmente eletto dalle opinioni pubbliche europee”?
Un punto di partenza fondamentale per cercare di rispondere a queste domande lo ha richiamato con grande efficacia Marta Dassù (Il Corriere della Sera, 22-01-2009): il nuovo rapporto euro-atlantico deve essere osservato secondo lo schema dialettico alleanza per scelta/alleanza per necessità. Se per l’Europa l’alleanza con gli Usa è ancora indispensabile e necessaria, il legame tra le due sponde dell’Atlantico è vissuto a Washington in maniera più razionale, nel senso che esauritesi le dinamiche di Guerra fredda e apertasi la fase nuova di centralità strategica del polo asiatico (sia per motivi geopolitici che economici), il Vecchio Continente finisce per forza di cose per assumere una dimensione strategica secondaria, in certi casi addirittura periferica.
Le principali diplomazie europee sembrano aver compreso la situazione e non a caso, pur apprezzando l’ipotesi di poter finalmente lavorare con un leader più pragmatico e meno ideologico di Bush, non nascondono alcune preoccupazioni. Vista la popolarità globale riscossa da Obama, sarà molto più difficile per i leader europei declinare alle richieste del nuovo inquilino della Casa Bianca e le richieste, è evidente, non tarderanno ad arrivare. Inoltre l’elezione di Obama da un lato porterà gli europei ad abbandonare il richiamo all’“alibi” dell’unilateralismo” di G. W. Bush in molte occasioni utilizzato ad arte per celare una cronica inazione e un patologico rifiuto dell’uso della forza come metodo estremo per risolvere le crisi internazionali. Dall’altro l’entrata in carica del presidente Usa finirà per oscurare quell’attivismo internazionale europeo degli ultimi mesi.
Nel relativo vuoto di potere della lunga fase di transizione tra le due amministrazioni Usa, la diplomazia europea ha certamente svolto un ruolo (nel Caucaso come nella crisi finanziaria globale). Nei prossimi mesi si capirà se si è trattato soltanto di riempire un oggettivo vuoto di potere o se un embrione di politica estera europea è davvero in costruzione. La lettera inviata dai ministri degli affari esteri dei 27 a Obama appena conosciuto l’esito dell’elezione è un primo gesto nella direzione del volontarismo europeo. L’Europa è pronta ad assumersi tutte le responsabilità di politica internazionale e a vivere il rapporto euro-atlantico in maniera paritaria. Un gesto di maturità che deve essere però confermato nei fatti.
E i fatti parlano di almeno cinque dossier rispetto ai quali nelle prossime settimane si valuterà il nuovo rapporto euro-atlantico. Il Medio Oriente è al primo posto e il nuovo presidente sembra aver già chiarito il suo approccio pragmatico: appoggio totale a Israele e all’Anp, chiusura assoluta nei confronti Hamas, ma soprattutto grande attivismo diplomatico rispetto ai Paesi arabi dell’area. Il Medio Oriente è una priorità, lo dimostra la nomina di Mitchell ad inviato permanente, e le varie diplomazie europee (in particolare quella francese ed italiana) possono essere un prezioso aiuto.
La querelle israelo-palestinese rimanda al secondo decisivo dossier dell’agenda presidenziale, quello iraniano. Su questo punto dalla Casa Bianca chiederanno probabilmente uno sforzo maggiore ai partner europei sul terreno delle sanzioni. La logica del 5+1 verrà probabilmente inasprita e contemporaneamente Washington procederà con i suoi contatti diplomatici con Teheran. Una parziale svolta pragmatica nel rapporto con l’Iran dovrà per forza di cose comportare anche un cambio di rotta della diplomazia italiana nell’area.
Terza questione cruciale l’Afghanistan, il vero fronte della guerra al terrore per Obama. Anche in questo caso la nomina di Holbrooke ad inviato dimostra quanto sia prioritario il tema per la nuova amministrazione. Si è più volte ripetuto che Obama chiederà più impegno agli europei, ma ci si è poche volte soffermati sui costi politici che una decisione in questa direzione potrebbe avere nei paesi europei più coinvolti. Un recente sondaggio apparso sul «Financial Times» è alquanto chiaro in proposito: il 60% dei tedeschi, il 57% degli inglesi e il 53% di italiani e francesi è assolutamente contrario all’incremento dei propri militari nella guerra in Afghanistan. Le elites politiche alla guida dei principali Paesi europei saranno in grado di mantenere i loro impegni con l’alleato americano o saranno sopraffatti dalle proprie opinioni pubbliche neutraliste?
Quarta priorità la ricostruzione di un rapporto pragmatico e fondato sul realismo con Mosca. In questo caso uno dei punti decisivi consiste nell’evoluzione della Nato. Non a caso il 3-4 aprile Obama sarà a Strasburgo e a Baden Baden per i festeggiamenti per i 60 dalla nascita del Patto Atlantico. L’occasione sarà propizia per affrontare una serie di questioni che riguardano la difesa anti-missile in Polonia e Repubblica Ceca, il reintegro completo della Francia nel comando integrato (e la conseguente accelerazione della PESD) e la questione allargamento-identità-mission dell’Alleanza Atlantica. Inevitabilmente le scelte americane in materia influenzeranno i rapporti tra Washington e Mosca. L’Europa dovrà fare grande attenzione a non finire schiacciata in quello che rischia di tramutarsi in un vero e proprio “triangolo mortale”.
Infine ultima priorità, ma di certo non in ordine di importanza, l’approccio alla crisi economico-finanziaria globale. Obama sarà al G20 di Londra del 2 aprile, dopo essere stato il convitato di pietra di quello del 15 novembre a Washington. Per la prima volta nella storia del legame euro-atlantico l’economia potrebbe tramutarsi da collante in fonte di discordia. Da un lato gli Usa, per ragioni relative al proprio deficit estero, guardano verso ovest (Cina), piuttosto che verso est (Europa). In secondo luogo i salvataggi nazionali e gli aiuti di Stato ai settori in difficoltà creano per forza di cose chiusura nei mercati e il rischio protezionismo è più che probabile. Infine bisognerà valutare nei prossimi mesi se l’approccio europeo alla crisi, così come di recente ribadito dalla coppia Sarkozy-Merkel al convegno Nouveau monde, nouveau capitalisme dell’8 gennaio 2009 (regole chiare, fine del dominio del mercato e Stato partecipe in economia) potrà essere un punto di partenza condiviso o susciterà rotture. Il richiamo di Sarkozy ad un’Europa “pronta a riformare da sola il capitalismo globale” è azzardato, ma non nasconde una convinzione retorica, ma piuttosto diffusa in Europa, quella del possibile “declino statunitense”.
Nell’immediato non si deve poi dimenticare che anche la decisione forte di sospendere una serie di procedimenti nel carcere di Guantanamo comporterà la richiesta Usa di accogliere in Europa ex prigionieri e su questo punto, nel Vecchio Continente, sono già emerse le prime diffidenze.
Insomma alla fine di questo lungo elenco di priorità si potrebbe citare la famosa frase di Kennedy, applicandola al rapporto euro-atlantico. Non chiedersi cosa gli Usa potranno fare per mantenerlo vivo, ma quanto gli europei saranno pronti a spendere in termini di credibilità politica per rinnovare questo storico legame tra le due sponde dell’Atlantico. Con Obama non siamo alla fine di questa lunga storia, ma certamente verranno al pettine tutti i nodi irrisolti alla fine della Guerra fredda. La possibilità che le nuove relazioni euro-atlantiche possano poggiare in maniera salda su un’Unione europea finalmente dotata di un Presidente fisso potrebbe essere un ottimo viatico per un rapporto più maturo e pragmatico. Parte di questa complessa partita, dunque, dipenderà anche da cosa Praga e Dublino decideranno di fare del Trattato di Lisbona.