L’Europa chiede agli Stati le politiche pro-crescita che propone Berlusconi

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L’Europa chiede agli Stati le politiche pro-crescita che propone Berlusconi

01 Febbraio 2011

I meeting di Davos di fine gennaio, negli anni passati, sono stati poco utili. Sfilate di personaggi con discorsi di circostanza. E incapacità di capire la crisi economica e i suoi rimedi. E quest’anno perciò i media non danno molto risalto a ciò che si dice a Davos. Tuttavia, questa volta sono emerse prese di posizione importanti sul futuro dell’Unione monetaria europea,e su ciò che debbono fare gli stati membri, per ridurre il peso del debito pubblico, da parte di Angela Merkel, di Nicolas Sarkozy e di altri importanti figure, che i nostri grandi giornali, impegnati nella campagna antiberlusconiana, hanno pressoché ignorato.

Il tema centrale è quello del Fondo europeo di stabilizzazione, dotato di 440 miliardi di euro di disponibilità finanziarie, che attualmente ne può prestare soltanto 250, in quanto per potere godere della tripla A, da parte delle agenzie di rating, deve disporre di un rapporto fra il suo fondo di dotazione e i prestiti che ottiene dal mercato, che ne assicuri la piena solvibilità, in relazione alle sue operazioni di finanziamento a stati in crisi debitoria, che sono altamente rischiosi. Germania e Francia sarebbero disposte a fornire ulteriori garanzie , per permettere la Fondo di disporre di tutti i 440 miliardi teorici, per interventi finanziari nei riguardi degli stati dell’euro zona, in cambio di modifiche alle regole europee riguardanti le politiche fiscali degli stati dell’Unione Monetaria Europea.

L’ampliamento del volume di finanziamenti del Fondo comporta la messa in sicurezza degli stati iberici , Portogallo e Spagna, che sono fra loro collegati dal fatto che le banche spagnole sono impegnato a fondo nel finanziamento del sistema bancario e industriale portoghese. Secondo la tesi corrente di Angela Merkel, né Portogallo né Spagna hanno bisogno di un intervento del Fondo, che essi in effetti non chiedono . Ma il fatto è che se il Portogallo avesse bisogno di aiuto, per difficoltà di collocamento del suo debito pubblico, ciò metterebbe in pericolo la Spagna, data l’esposizione del suo sistema bancario verso il Portogallo. Le difficoltà portoghesi riducendo la solvibilità delle banche spagnole ne ridurrà la capacità di assorbire debito pubblico di Madrid e potrebbe rendere necessari nuovi interventi del governo a sostegno delle banche, con conseguente aumento del deficit del bilancio pubblico e rischio-debito.

Il Fondo Europeo di stabilità, con 250 miliardi di euro di disponibilità, ha abbastanza mezzi per sostenere Lisbona, ma forse non abbastanza, per sostenere anche Madrid. E comunque, dopo questi due interventi, non avrebbe più disponibilità per la sua missione. Dunque , la sfida dell’ampliamento della sua disponibilità di finanziamenti sino a 440 miliardi implica un cambiamento totale nelle aspettative della speculazione finanziaria al ribasso sui titoli del debito dell’eurozona  dei paesi a rischio. Fra questi non c’è, al presente, l’Italia perché il governo Berlusconi è affidabile e gode, attualmente, di una maggioranza che è in grado di assicurare la sua tenuta. Ma se ci fosse una crisi politica, con eventuale cambio di governo o elezioni anticipate, sarebbe l’Italia, non il duo iberico a essere investita dalla speculazione finanziaria internazionale. E il Fondo euro di stabilizzazione non ha attualmente i mezzi per sostenere il debito pubblico italiano.

Ma andiamo oltre, per cercare di capire quali sono le condizioni che Germania e Francia stanno elaborando per garantire che il Fondo europeo di stabilità arrivi a 4550 miliardi di disponibilità. Angela Merkel le ha delineate con estrema chiarezza. Si tratta di politiche di rigore e di crescita. Occorrono svolte di politica economica per dare più competitività alle economie dgeli stati membri dell’eurozona, con alti pesi di debiti pubblici. 

La Germania è tornata alla crescita consistente del Pil, con riforme attuale prima dal governo socialdemocratico di Schroeder con la collaborazione dell’opposizione dei popolari di Cdu e Csu, poi con il governo di coalizione fra socialdemocratici e popolari e, da ultimo, con quello attuale guidato da Angela Merkel con i liberali, ma anche con una opposizione responsabile della Spd. Un ruolo importante nel rilancio dell’economia tedesca, lo ha svolto il sindacato, convinto che la crescita sulla base della produttività fosse la linea giusta, per il settore privato e per quello pubblico.

E’ naturale che la Merkel ritenga che la crescita sia la via giusta per la soluzione dei problemi e che  la crescita consistente del Pil anche negli stati dell’eurozona che nell’ultimo decennio si sono mossi a passo molto lento e stanno lentamente uscendo alla recessione. Essa è essenziale per ridurre il rapporto debito/Pil in quanto esso si riduce sia perché il debito cessa di aumentare, sia perché il Pil aumenta più del debito. Ed è più facile contenere le spese pubbliche quando il Pil cresce, perché in tale caso i “tagli” non comportano diminuzioni di spese, ma loro aumenti minori di quelle del Pil.

Occorre, però, aggiungere che il cancelliere tedesco chiede che le costituzioni degli stati dell’eurozona pongano, come la Germania, la regola del pareggio del bilancio. Aggiunge l’elevamento dell’età pensionabile a 67 anni, altro principio accolto in Germania , la flessibilità dei contratti di lavoro e l’armonizzazione della tassazione delle imprese, con il duplice obiettivo di una tassazione orientata allo sviluppo della produttività e favorevole alla crescita del Pil. Il che comporta la razionalizzazione e riduzione delle fiscalità e di una barriera alle gare fiscali al ribasso, che impediscono una competizione leale. 

Dunque, una politica pro crescita nell’ambito di una politica di rigore di bilancio. Il messaggio che ci viene da Davos è questo. Non si tratta di operazioni una tantum, come le imposte patrimoniali straordinarie, ma di azioni strutturali. Il “patto per la crescita” lanciato da Berlusconi ed accolto favorevolmente dalla Confindustria, e dalla Cisl di Bonanni, che da tempo lo chiede, si inserisce in questo indirizzo, con le specificità italiane, come le privatizzazioni, le liberalizzazioni, la riduzione delle imposte accompagnata alla lotta all’evasione e all’economia sommersa. Mi sembra che Berlusconi abbia, al riguardo, le idee chiare. Non mi pare che si possa dire lo stesso per la nuova alleanza di centro e le molte anime del Pd, per non parlare della Cgil, di Fiom, di Niki Vendola, dell’Italia dei Valori.