L’Europa dà il via alla Conferenza intergovernativa
26 Luglio 2007
Sembrava raggiunto il compromesso
un mese fa tra i leader dell’Ue e la Polonia sul testo costituzionale che
prevedeva il rinvio, al 2014, dell’adozione del voto a doppia maggioranza,
invece niente da fare. La preoccupazione per le pretese di Varsavia al sistema
di votazione previsto dal progetto di trattato ha reso incerto l’altro ieri
l’inizio dei lavori della Conferenza intergovernativa. Lunedì 23 luglio,
infatti, ha preso il via ha Bruxelles la Cig incaricata di preparare il nuovo
Trattato dell’Unione dopo l’accordo del Consiglio europeo del 21-22 giugno che
ha salvato le parti essenziali della Costituzione europea bocciata due anni fa
da Francia e Olanda. Il ministro degli Esteri portoghese Luis Amado, presidente
di turno del Consiglio dell’Ue, ha ribadito l’intenzione di far valere il
progetto di Trattato entro la metà di ottobre, in modo da poterlo sottoporre ai
capi di Stato e di governo nel vertice del 18-19 di quel mese a Lisbona. Il
testo potrebbe in questo modo essere aperto alle ratifiche dal primo gennaio
prossimo, sotto la presidenza di turno slovena, ed entrare in vigore sotto la
presidenza francese dell’Unione prima delle elezioni per il rinnovo
dell’Europarlamento del giugno 2009. Tuttavia la delegazione polacca ha accompagnato
l’apertura della Conferenza con l’ennesimo tentativo di minaccia negoziale, che
è sembrato un modo per strappare probabilmente nuove concessioni.
Già a giugno, il consenso sul
“Trattato di Riforma” che sostituirà il testo firmato a Roma, era arrivato dopo
lunghe trattative, quando, oltre a rinviare di dieci anni il nuovo sistema di
voto, è stato riproposto il “compromesso di Ioannina” a tutela della minoranza.
Allora, il risultato del Consiglio europeo era stato accolto con sollievo da
chi temeva il peggio e per superare l’ostruzionismo, ai polacchi era stato
accordato che il sistema di voto cosiddetto a doppia maggioranza, che prevede
una maggioranza qualificata calcolata in base al 55% degli Stati membri e al
65% della popolazione dell’Unione Europea, entrerà in vigore non prima del 2014
con delle salvaguardie per i polacchi fino al 2017, quando si passerà al
sistema di votazione definitivo. La soluzione rappresenta una via di mezzo tra
il Trattato firmato a Roma, che stabilisce il passaggio immediato a questo tipo
di voto, e Varsavia che sosteneva il rinvio al 2020 allo scopo di beneficiare
per un periodo più lungo delle vantaggiose condizioni del voto ponderato
ottenute a Nizza nel dicembre del 2000 e che garantisce ai polacchi un peso
maggiore nelle votazioni. Il sistema che viene proposto per il nuovo trattato
indebolirebbe la Polonia che ha la metà della popolazione tedesca e che era
favorita dalle decisioni prese a Nizza che davano a Spagna e Polonia due soli
voti di differenza rispetto alla Germania, 27 contro 29. Di più: oltre al
rinvio al 2014 del sistema di voto a doppia maggioranza, l’accordo comprendeva
anche la clausola cosiddetta Ioannina, dal nome della città greca dove è stata
definita nel 1994. La formula prevede che, nel caso di voto a maggioranza
qualificata, se un piccolo gruppo di paesi è vicino a formare una “minoranza di
blocco”, senza però raggiungerla, può comunque chiedere il riesame della
decisione in discussione. La procedura a tutela delle minoranze è stata
applicata pochissimo e nel 2002 è stata annullata con l’applicazione del
Trattato di Nizza, per poi essere riproposta nel Consiglio europeo di un mese
fa, per andare incontro ai timori della Polonia di rimanere schiacciata tra i
grandi paesi a causa del nuovo sistema di voto.
Insomma, una situazione non
ancora del tutto risolta ma che ha portato tutti i protagonisti a parlare di un’alta
probabilità di raggiungere un accordo complessivo entro dicembre 2007. Prospettiva
che permetterà all’Europa, con i suoi 27 Stati e quasi 500 milioni di abitanti,
di costruirsi non solo in nome dell’euro, dandosi finalmente una connotazione
politica sulla base delle novità introdotte nella vecchia Costituzione, anche
se con prospettive meno ambiziose. La Conferenza intergovernativa in questo
modo ha concentrato il compromesso sulle divergenze istituzionali e sugli
strumenti della politica, mettendo da parte le problematiche relative al futuro
dell’Europa e quindi rinviando ancora l’armonizzazione delle differenze
politiche, economiche e identitare.
Ecco in sintesi gli altri interventi
correttivi previsti dal nuovo Trattato: l’Ue avrà dal 2009 un nuovo presidente
del Consiglio, che resterà in carica per due anni e mezzo: avrà un mandato
rinnovabile per una sola volta e sostituirà le presidenze semestrali a
rotazione assegnate ogni sei mesi a ogni paese; sempre dal 2009, le presidenze
semestrali resteranno invece in vigore per le riunioni, i negoziati e le decisioni
su tutti i temi settoriali (agricoltura, economia, politica fiscale e ambiente);
dal 2009 l’Ue acquisirà piena personalità giuridica come soggetto
internazionale e potrà firmare trattati internazionali a nome di tutti i suoi
Stati membri (finora i negoziati e la firma dei trattati erano competenza dei
singoli paesi membri); verranno ampliati poteri e competenze del Parlamento
europeo, che avrà 750 seggi (16 in più di oggi); la Commissione dal 2014 sarà
composta da tanti commissari pari a due terzi dei paesi membri dell’Unione
europea; infine, come dicevo, il sistema di voto cambierà soltanto dal 2017 e
non dal 2009 (Lo slittamento della riforma è la concessione strappata dalla
Polonia. Fino al 2017 si voterà secondo il calcolo dei voti assegnati da ogni
paese dai Trattati del vertice di Nizza del dicembre 2000).
A questo punto, se teniamo conto
del percorso accidentato da cui esce, ed è comunque migliore di quanto
facessero presagire i dibattiti e le schermaglie succedutesi in questi mesi,
l’accordo raggiunto il 23 luglio dai ministri degli Esteri per la convocazione
della Conferenza intergovernativa che dovrà scrivere il nuovo Trattato, evita
il trauma del fallimento di un compromesso. Tutto merito della pazienza
negoziale di Angela Merkel, presidente della Ue nel Consiglio europeo di
giugno. Il cancelliere tedesco nella maratona negoziale di un mese fa aveva
superato anche l’ostacolo Gran Bretagna. Le concessioni accordate ai
britannici, sulle scia delle quattro “linee rosse” segnalate ai colleghi dal
premier Tony Blair, sono state: una clausola che salvaguardi la Common Law (il
sistema giuridico anglosassone), un “opting-out” sulla Carta dei Diritti
fondamentali (lascerà liberi gli stati di legiferare in fatto di famiglia e
moralità pubblica) e la certezza che al futuro ministro degli Esteri Ue non sia
attribuito questo nome, ma quello di “Alto rappresentante per la politica
estera”.
Ad oggi, pertanto, può essere
considerato un successo l’accordo su un testo costituzionale semplificato
capace di dare all’Europa quantomeno un quadro di regole e valori comuni che
vada oltre la liberalizzazione degli scambi e dei movimenti di uomini, merci e
capitali, e rappresenti un tessuto più forte e vincolante delle leggi e dei
regolamenti burocratici su cui in gran parte ora si fonda la vita quotidiana
dell’Ue. Il nuovo Trattato permetterà a Bruxelles di superare l’immobilità in
cui è caduta dopo i “no” di Francia e Olanda alla Costituzione europea nel 2005,
garantendo quella funzionalità che nell’Europa a ventisette è finora venuta a
mancare.