L’Europa dei nuovi muri
25 Agosto 2015
Famiglie che corrono in mezzo alle sterpaglie, il rumore degli scoppi di sottofondo, il fumo e poi altre persone stanche, sudate, disperate, costrette dietro al filo spinato, guardate a vista da militari: se non fosse stato per qualche piccolo segno che indicava come gli eventi si svolgessero nella nostra epoca, la scena poteva essere scambiata per quella di un film ambientato durante la seconda guerra mondiale, quando a scappare erano gli ebrei, in cerca della salvezza.
Parlo dei profughi che sono riusciti a sfondare il confine fra la Grecia e la Macedonia, prima che quest’ultima si decidesse ad aprire le frontiere, e a lasciarsi attraversare dai migranti in fuga dalla guerra di Siria – la gran parte – ma anche dal disastro dimenticato dell’Afghanistan, e dall’Iraq. E’ la via di fuga dei Balcani, dicono i giornali, l’alternativa, meno pericolosa, agli scafisti che gestiscono il traffico dalle coste della Libia; ma soprattutto è l’esito più vistoso ed evidente della disastrosa politica estera del premio Nobel per la pace Barack Obama, che ritengo il peggior Presidente degli Stati Uniti che la storia ricordi.
Già, perché per ognuno dei paesi citati – Siria, Iraq, Afghanistan, Libia – dobbiamo avere l’onestà intellettuale di riconoscere il fallimento americano, l’incapacità del presidente di gestire le crisi ereditate dal passato, anche quando i paesi in questione stavano faticosamente risalendo la china, e l’assoluta inadeguatezza a gestire quelle presenti, come la Siria, o, peggio ancora, quelle direttamente causate dallo stesso Obama, come la catastrofica situazione libica.
Intanto l’Europa assomiglia sempre più a un bunker, un fortino assediato che deve difendersi dall’assalto di tribù barbare e nemiche, rappresentate anche da quelle povere famiglie in fuga in mezzo alle sterpaglie del confine macedone. Nell’89 festeggiavamo la caduta di un muro odioso, adesso ne costruiamo di nuovi. Dopo che tanti hanno avuto parole di fuoco per quello (davvero difensivo) eretto da Israele, non spendiamo altrettanta indignazione per i fili spinati che vorrebbero tenere fuori non bombe, kamikaze, guerriglieri, ma persone armate solo della propria ostinata volontà di avere una vita vivibile. Nuovi muri per nuove paure.
Ogni giorno che passa è sempre più evidente che parlare di quote di rifugiati da suddividere tra i paesi europei è ridicolo, miope e parziale, se non ci si siede attorno a un tavolo, se non si convoca un summit internazionale subito, con la stessa celerità con cui lo si è convocato all’indomani del referendum greco, per decidere come affrontare il più grande esodo di popolazioni dall’est e dal sud verso il nord ovest, dall’Africa e dal Medio oriente verso l’occidente e il nord dell’Europa.
Invece si perdono ancora tempo e risorse preziose per tentare inutilmente di difendere il bunker: per esempio per attivare sensori all’anidride carbonica – usati dalle forze inglesi e francesi – allo scopo di scovare eventuali gruppi di persone (che respirando emettono anidride carbonica) nascoste dentro i tir che attraversano la Manica. Eppure è ormai evidente che l’esodo è inarrestabile, e tutte le leggi, gli accorgimenti, gli strumenti per bloccarlo non bastano. Non è più solo l’Italia la via principale verso l’Europa, e le parole al vento di Salvini mostrano tutta la loro futilità: non è un governo che può fermare le migrazioni, forse nemmeno l’Europa, se fosse unita e solidale, ci riuscirebbe.
Ha ragione il cardinale Bagnasco quando chiama in causa gli organismi internazionali, tenendosi lontano da soluzioni semplicistiche del genere “l’Italia accolga tutti”, e da accuse furbette alla politica e al governo. Intanto l’Europa si arrocca nelle sue paure, come se bastasse nascondere la testa sotto la sabbia, come se davvero, come cantava Battisti, uno scoglio potesse arginare il mare.