L’Europa è troppo divisa per avere una difesa comune
22 Luglio 2011
Sembra essere definitivamente naufragata l’ipotesi di un quartier generale di difesa europeo. Il no nunc et semper espresso dalla Gran Bretagna nel corso del Consiglio Affari Esteri – tenutosi a Bruxelles lo scorso 18 luglio – non lascia molti spiragli aperti. Il Ministro degli Esteri britannico, William Hague, ha declinato in tre motivazioni il veto posto dal Regno Unito al Quartier Generale Operativo permanente (Ohq): in primo luogo, “si tratta di una replica delle strutture Nato – ha spiegato Hague nel corso del Consiglio – e quindi dissocia in modo permanente la pianificazione dell’Unione europea da quella della Nato”; in seconda battuta, “si tratta di una soluzione molto più costosa di quelle attuali” e, terzo, “si potrebbe fare moltissimo migliorando le strutture già esistenti”.
Il riferimento, innanzitutto, è all’Agenzia europea di difesa, l’organismo istituito nel 2004 allo scopo di sviluppare le capacità difensive dell’Unione e di promuovere, la cooperazione tra gli armamenti e il rafforzamento della base tecnologica e industriale della difesa europea. No a un doppione della Nato, quindi: in sintesi, questo è il messaggio del governo d’Oltremanica, che ricalca la posizione storica degli Stati Uniti.
L’Unione europea si allontana quindi dalla costruzione di una base di difesa comune, a quanto pare – in base alle dichiarazioni del ministro inglese – in maniera definitiva. Eppure bisogna considerare un dato tanto evidente quanto fondamentale: la Gran Bretagna è stato l’unico dei 27 Stati membri della Ue a porre il veto, mentre gli altri 26 Paesi si sono espressi favorevolmente. Tra questi, la spina dorsale degli Stati che sostiene il progetto del quartier generale di difesa – proposta avanzata dall’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Catherine Ashton – è costituita dal cosiddetto “Triangolo di Weimar”: Francia, Germania e Polonia. Ovvero, le due locomotive storiche dell’Europa unita e la locomotiva dei Paesi dell’Europa orientale, entrati da meno di dieci anni nella Ue (la Polonia ne fa parte dal 2004).
Proprio la Polonia, che dal 1° luglio ha assunto la presidenza semestrale della Ue, ha subito posto come argomento prioritario quello dello sviluppo delle capacità difensive europee. Non è un mistero che il governo di Varsavia consideri la rinascita della potenza russa – e la sua potenziale influenza sulle ex repubbliche sovietiche dell’Est Europa – come una fonte di preoccupazione. Pertanto, la Polonia avrebbe tutto da guadagnare da un’Europa organizzata e coesa a livello strategico, in uno scenario in cui la Nato sembra aver perso peso e l’unica alternativa sarebbe l’impegno diretto nell’area da parte degli Usa. E in questo, Varsavia ha chiesto una sorta di “prova di fiducia” alla Germania, consapevole dell’imprescindibile appoggio della potenza tedesca.
Berlino, dal canto suo, ha accettato di far proprio la proposta del quartier generale europeo, ma sembra più per motivi di convenienza che per un reale convincimento. Come messo in evidenza da Stratfor, la Germania intenderebbe in tal modo rassicurare la Polonia e il resto dell’Europa centrale sul fatto che i rapporti con la Russia – che si stanno rafforzando, soprattutto sul piano energetico – non devono essere percepiti come una minaccia. Il sostegno al quartier generale europeo, quindi, rappresenterebbe per la Germania la classica possibilità di “prendere due piccioni con una fava”: proseguire i suoi rapporti economici con Mosca e, al tempo stesso, far capire che l’Unione europea può sempre contare su Berlino.
Eppure, dal punto di vista del Cremlino, la realizzazione del quartier generale europeo potrebbe essere il male minore. Almeno prevedendone i tempi di realizzazione. Una Polonia impegnata sul fronte di compattamento della Ue, infatti, apparirebbe molto meno “pericolosa” rispetto a un Paese che puntasse tutto su alleanze ridotte a livello locale, ma sicuramente più snelle e, soprattutto, su cui la Polonia è in grado di esercitare un ruolo egemonico. Basta pensare al “Gruppo di Visegrad”, che riunisce Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria e che lo scorso 12 maggio ha deciso di costituire un battle group, un raggruppamento transnazionale di unità di fanteria e carri armati e di addestramento e scambio di know how e informazioni. La Russia sa bene che il progetto di un’Europa coesa a livello militare ha di fronte a sé ostacoli che appaiono infiniti, con il no della Gran Bretagna del 18 luglio scorso che lo conferma.
Ecco quindi che aree importanti dell’Europa – quale quella centro-orientale – potrebbero accentuare la tendenza verso fenomeni disgregativi dell’Unione, se in sede di Consiglio, alla proposta di un progetto di difesa comune, si sentiranno sempre rispondere picche. La motivazione secondo cui un Quartier Generale Operativo permanente si pesterebbe i piedi con la Nato potrebbe voler dire rimandare alle calende greche la costruzione di un’Unione europea padrona del proprio destino.