L’Europa ha bisogno di un mercato unico dell’energia

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L’Europa ha bisogno di un mercato unico dell’energia

03 Febbraio 2008

Quanto più un mercato è ampio e integrato, tanto più esso è flessibile e in grado di parare shock derivanti da incidenti, compresi quelli politici. Questo punto è esplicitamente riconosciuto, ed enfatizzato, nel Libro verde della Commissione Europea sulla sicurezza energetica: “L’energia sostenibile, competitiva e sicura non sarà raggiunta senza mercati energetici competitivi e aperti, basati sulla concorrenza tra imprese nel tentativo di diventare player

competitivi a livello europeo anziché soggetti dominanti a livello nazionale. L’apertura dei mercati, non il protezionismo, rafforzerà l’Europa e le consentirà di risolvere i problemi. Un mercato unico europeo autenticamente competitivo dell’elettricità e del gas ridurrà i prezzi, migliorerà la sicurezza degli approvvigionamenti e accrescerà la competitività. Aiuterà anche l’ambiente, perché le imprese reagiscono alla competizione chiudendo gli impianti inefficienti”.

Perché si possa parlare di un vero mercato interno, occorre anzitutto sviluppare politiche che consentano, o almeno non ostacolino, l’accesso di newcomers sui mercati nazionali, e quindi sappiano garantire i principi di terzietà e non discriminazione nella gestione delle reti nazionali preesistenti alla liberalizzazione. Al tempo stesso, è fondamentale la crescita delle arterie di interconnessione dei diversi sistemi elettrici, in maniera tale che essi non restino di fatto isole collegate da pochi, esili ponti. L’obiettivo di raggiungere un livello di interconnessione pari al 10 per cento degli scambi elettrici nel continente, fissato dal Consiglio d’Europa svoltosi a Barcellona nel 2002, è ancora lontano e “i progressi non sono soddisfacenti”. Quindi, “gli investimenti pubblici e privati nelle infrastrutture devono essere stimolati e le procedure accelerate. Maggiore è l’interconnesione tra le reti elettriche europee, minore sarà il bisogno di capacità in eccesso e, col tempo, minori i costi. Questo è importante in un momento in cui il precedente eccesso di capacità europeo sta diventando storia”.

Se tutto questo è vero, allora è fondamentale anche l’istituzione di un principio di “solidarietà tra gli Stati”, un patto di mutuo soccorso insomma che impegni i contraenti al reciproco aiuto in caso di difficoltà. Sebbene tale patto possa essere di difficile interpretazione all’atto pratico, quanto meno esso rafforza l’esigenza di sviluppare sinergie e compatibilità, che nel medio e lungo periodo possono essere raggiunte solo se si consente alle imprese di crescere e operare in paesi diversi da quello originario anche attraverso fusioni cross border. Infatti, solo con la perdita della “nazionalità delle imprese”, solo con la creazione di un “melting pot economico”, le motivazioni protezionistiche possono effettivamente perdere terreno, credibilità e appeal. E’ vero che in questa evoluzione si nasconde il rischio, ancora una volta, dell’uso politico delle imprese di un paese operanti in un altro: c’è sempre, in ogni strategia, una quota di azzardo. E’ tuttavia ragionevole attendersi che, se i mercati sono aperti, contendibili e trasparenti, scelte di questo genere vengano evitate – nel senso che la loro probabilità sarà minimizzata – non tanto per ragioni morali, quanto perché, semplicemente, esse non convengono.

L’integrazione dei mercati avrebbe due effetti fondamentali. Dal punto di vista del consumatore, porterebbe a una maggiore libertà di scelta e a una convergenza dei prezzi verso un prezzo unico europeo di elettricità e gas, facendo venire meno gli sbalzi tariffari che tipicamente si sperimentano varcando i confini (e che dipendono anche, ma non solo, da una diversità nel trattamento fiscale). Dal punto di vista dei produttori, si potrebbe raggiungere una più efficiente collocazione degli impianti e un maggiore bilanciamento del mix produttivo, anche, ma non solo, perché la possibilità di spostare i processi produttivi da un paese all’altro senza avere eccessivi contraccolpi sul mercato di riferimento potrebbe, entro certi limiti, consentire un superamento delle restrizioni alla scelta dei combustibili. Naturalmente questo implicherebbe pure un premio (in termini di capacità di attirare investimenti) per quei paesi che hanno una regolamentazione più tollerante e processi autorizzativi più certi e rapidi. Per di più, potrebbe paradossalmente emergere un “nazionalismo positivo”: mentre oggi per trattenere competenze nei settori ritenuti strategici si ricorre talvolta a provvedimenti protezionistici, il modo per impedire la dispersione di capitale umano potrebbe essere la semplificazione burocratica, con beneficio dell’intera economia nazionale e, trattandosi di un mercato integrato, europea.

L’integrazione europea nasconde però un’insidia: che venga concepita come una licenza a trasferire a livello continentale quelle politiche di chiusura che vengono sacrificate a livello nazionale. La creazione di un mercato interno europeo, infatti, non cancella il fatto che l’Europa e i suoi Stati membri siano immersi in un contesto globalizzato, nel quale – seppure a un grado minore – esistono forme di interconnessione. Questo è sicuramente vero per i mercati petroliferi, e meno vero (ma lo è in misura crescente) per quelli del gas, per le ragioni che si sono già viste.

Proprio perché la sicurezza energetica può essere vista come un elemento di sicurezza nazionale (in quanto il mondo contemporaneo ha nell’energia l’input che lo tiene in vita), occorre una chiara comprensione di quel che c’è in gioco, del significato della sicurezza (che è un costo), e delle strategie più efficaci per garantirla. Nell’attuale scenario mondiale – con un mondo sviluppato energivoro e un mondo in via di sviluppo che mette assieme una rapida evoluzione istituzionale e una crescita economica a due cifre a un’altrettanto sostenuta domanda di energia – le scelte di politica energetica hanno un impatto fondamentale su quelle di politica economica, e viceversa. Di conseguenza, esse non possono essere trattate come due capitoli estranei l’uno all’altro. In particolare, nota Daniel Yergin, “bisogna riconoscere nei mercati una fonte di sicurezza… Oggi, l’esistenza di mercati dell’energia vasti, flessibili e ben funzionanti produce sicurezza assorbendo gli shock e consentendo a domanda e offerta di rispondere più velocemente e con maggiore ingegno di quanto potrebbe fare un sistema controllato. Tali mercati garantiranno sicurezza per il crescente mercato del Gnl e quindi faranno crescere la fiducia nei paesi importatori. Di conseguenza, i governi devono resistere alla tentazione di esercitare pressioni politiche e impegnarsi nel micromanagement dei mercati. L’interventismo e i controlli, per quanto ben intenzionati, possono generare conseguenze opposte, rallentando o addirittura impedendo il movimento dell’offerta per rispondere ai problemi”.

Se i mercati sono una delle variabili chiave nella ricerca di sicurezza, allora le imprese devono essere lasciate libere di agire e non devono essere ostacolate nel tentativo di creare valore per gli azionisti, perché l’interesse di questi ultimi, in un mercato energetico libero, integrato e globale, coincide con l’interesse generale. Ecco allora che “il clima degli investimenti deve diventare una preoccupazione cruciale nella sicurezza energetica”. Per l’Agenzia internazionale dell’energia, nei prossimi 25 anni il sistema energetico richiederà investimenti per 17 mila miliardi di dollari: “questi flussi di capitali non si materializzeranno senza una cornice stabile e ragionevole per gli investimenti, un processo decisionali puntuale da parte dei governi, e l’esistenza di mercati aperti”. Quella degli investimenti è una sfida non solo dal punto di vista dell’integrazione dei mercati, ma anche alle scelte legislative e regolatorie dei paesi europei, che spesso hanno adottato politiche il cui risultato inintenzionale è stato di aumentare il rischio paese e, dunque, rallentare gli investimenti, con ciò indebolendo la sicurezza energetica.

Da Sicurezza energetica: Petrolio e gas tra mercato, ambiente e geopolitica, a cura di Carlo Stagnaro, Istituto Bruno Leoni, 2007, 366 pp.,  € 17,00