L’Europa può fare qualcosa per evitare l’islamizzazione della Libia?
09 Settembre 2011
di Nino Orto
Derna e la Cirenaica, l’estremismo islamico, la numerosissima presenza dei libici orientali tra le fila degli insorti in Iraq, l’ampio squilibrio economico-sociale tra la Tripolitania e la Cirenaica per mezzo della deliberata politica di sotto-sviluppo della regione bengasina, la fortissima radicalizzazione degli imam dei distretti orientali, il fondamentalismo sempre più incalzante. Ma anche tentativi di riforme, passi indietro del Colonnello, e la lotta interna tra le anime del regime.
Un rais propenso ad una successione ma incerto su che tipo di strada scegliere per la nazione dopo il passaggio di consegne. E’ questa la realtà che viene fuori dai rapporti diplomatici americani e che mostra l’altra faccia del regime. Si parla di un apparato opaco e complicato, una dittatura divisa tra la componente riformista in appoggio di Saif al-Islam Gheddafi, con obiettivi di liberalizzazione economica ed apertura politica verso l’occidente, e la vecchia guardia conservatrice in sostegno del secondogenito Muatassin Balil al-Gheddafi, diffidente verso questo approccio e maggiormente per lo status-quo.
Sullo sfondo della feroce competizione familiare per la successione, la Libia Orientale, con Derna e Bengasi come vere e proprie spine nel fianco. Gheddafi, negli ultimi anni, aveva capito che l’impoverimento, la disperazione, e la brutale repressione imposta alla regione per evitare qualsiasi tipo di minaccia politica al regime non funzionava e stava cercando di arginare la situazione con grandi interventi infrastrutturali e con una poderosa campagna ideologica anti-islamica.
Immediatamente dopo le prime manifestazioni di violenza, nei dispacci statunitensi si parla della proposta di riforma costituzionale, avanzata dal primogenito Saif al-Islam ed appoggiata unanimemente dalla popolazione orientale, per una redistribuzione più equa delle risorse e per una maggiore lotta alla corruzione, e di come essa fosse stata affossata a causa dell’ostracismo della parte pi conservatrice degli ufficiali e delle elitès tripoline. Anche se Gheddafi era l’unico detentore del potere decisionale, dai dispacci sembra trasparire una disputa interna per quanto riguarda l’atteggiamento da adottare nei confronti della Cirenaica, e si nota come fosse l’ala più intransigente ad avere maggiore influenza sulle decisioni finali.
Tuttavia già dal 26 Ottobre 2009, l’ambasciatore americano a Tripoli, avvertiva il Dipartimento di Stato della crescente instabilità. Citando una fonte libico-americana, il funzionario diplomatico dà conto di come la politica di Gheddafi, la stessa volta a lasciare la popolazione orientale povera economicamente e diseredata sul piano politico, avesse prodotto frustrazione ed estremismo in gran parte dei giovani cirenaici.
In un ulteriore rapporto, Die Hard in Derna, si sottolinea come la Cirenaica conservi la consapevolezza del ruolo storico di resistenza ricoperto nei confronti degli eserciti ottomani e italiani, e di come questo si sia intrecciato con la causa islamista in un senso di orgoglio perverso (cit.) che ha contribuito al massiccio reclutamento dei giovani libici orientali negli sforzi della jihad in Iraq e Afganistan. Veniva evidenziata, inoltre, la forte radicalizzazione religiosa all’interno dei sermoni degli imam locali, con riferimenti sempre più espliciti alla jihad, aggiungendo che la situazione è resa ancora più complicata dalla presenza di una moltitudine di piccole moschee che rendono di fatto impossibile un efficace controllo governativo. Di più si spiegava tale realtà come la diretta conseguenza delle misere condizioni di vita della popolazione ma anche all’influenza dei veterani jihadisti di ritorno dalla guerra in Iraq e Afganistan.
Gheddafi conosceva il pericolo che la Cirenaica rappresentava per il suo apparato di potere, e a quanto risulta, pare che stesse già tentando inutilmente di arginare le forze islamiste con nuovi investimenti nell’area prima che fosse troppo tardi. Anche la possibile abdicazione a favore di Saif al-Islam faceva presagire una maggiore apertura nei confronti di Bengasi e un progressivo allentamento del controllo brutale sulla popolazione. Tuttavia, la violenta rivolta e soprattutto l’intervento militare della Nato, lo hanno preso alla sprovvista, rendendo gli eventi successivi fatali per il suo regime. Le conseguenze tuttavia potrebbero non essere negative solo per il raìs.
Lo sproporzionato aiuto militare della Nato verso una delle parti in guerra ha rovesciato velocemente i rapporti di forza all’interno della nazione libica e il pericolo di una rivoluzione ‘parziale’ è sempre più incombente. La presa del potere da parte dei cirenaici potrebbe aprire uno scenario in cui la vendetta e il rancore tra i vari clan sarebbero il motore di politiche future. In aggiunta, il profilo dei combattenti antigovernativi delineato dai dispacci Usa ci suggerisce una forte diffidenza quanto a lealtà e fedeltà verso le potenze straniere, anche se ‘amiche’. Si noti che, nonostante le dettagliate informazioni d’intelligence riguardo la regione e le forze sociali presenti nell’area, Francia e Inghilterra abbiano inviato caccia e truppe speciali in aiuto dei ribelli nel momento in cui emergeva l’idea di una nuova fase riformista del paese sotto la guida di Said al-Islam Gheddafi.
Se da un lato, questi libici aiutati dall’Occidente hanno intrapreso una rivolta contro l’oppressione di un tiranno e di un intera etnia nei loro confronti, è anche vero che le misere condizioni di vita di moltissimi di loro hanno facilitato la penetrazione del pensiero fondamentalista nel discorso quotidiano. Si tratta di un indottrinamento che sicuramente è stato agevolato anche dal continuo afflusso di combattenti jihadisti di ritorno dall’Iraq e dall’Afghanistan che nel corso degli anni ha fortemente politicizzato il malessere generale.
Il controllo internazionale nella formazione della nuova Libia sarà fondamentale per delineare gli assetti futuri della nazione affinché non si affermi un nuovo orizzonte politico basato ancora una volta sulla predominanza e discriminazione di una etnia su un’altra in un ordine inverso a quello precedente. Inoltre, tale impostazione politica, eviterebbe che in aggiunta ai vecchi rancori etnici vi fosse una forte presenza di movimenti islamici all’interno della formazione rivoluzionaria, gruppi che inserendosi discretamente all’interno dei gangli di potere del nuovo esecutivo libico, potrebbero verosimilmente prendere le redini della politica.
E dovrebbe essere l’Unione Europea, in toto, a prendersi carico 1)della costruzione di un severo sistema di controllo di legalità per i fondi destinati agli aiuti 2)della istituzionalizzazione di un sistema di governo con efficaci check and balances tra le varie componenti etniche 3)della creazione un apparato economico in grado di redistribuire equamente gli introiti petroliferi e che faccia sviluppare in maniera omogenea tutto il paese.
Tali accorgimenti potrebbero evitare una possibile guerra civile o addirittura una deriva islamista del nuovo esecutivo. Se invece, si svilupperà una ricostruzione basata sui contrasti tra gli specifici interessi delle varie nazioni europee impegnate nel conflitto, assisteremo con molta probabilità alla creazione di una nuova oligarchia che avrà spostato la residenza da Tripoli a Bengasi. Il radicalismo viaggerà velocemente e in maniera inversa dalla Cirenaica alla Tripolitania, rinforzerà le spaccature già esistenti tra le componenti del paese e minerà definitivamente la credibilità europea e della Nato nel mondo arabo. Il problema estremismo si sarà solo spostato, ma dove non c’è il petrolio.