L’Europa si è accorta troppo tardi delle persecuzioni contro i cristiani

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L’Europa si è accorta troppo tardi delle persecuzioni contro i cristiani

21 Dicembre 2016

Che i cristiani in Medio Oriente, in particolar modo, in Siria, Iraq e Egitto, sono da anni preda di un vero e proprio genocidio ad opera di jihadisti e affiliati dell’Isis è cosa certa. Però, complice forse l’atmosfera natalizia, è solo “grazie” alle immagini di Aleppo e all’attentato alla cattedrale copta del Cairo se i riflettori sono tornati ad accendersi sulla tragedia in corso. A squarciare nuovamente la solita coltre di silenzio che circonda le comunità cristiane in Medio Oriente, ci ha pensato lunedì scorso Monsignor Pizzaballa che è stato per 12 anni Custode di Terra Santa prima di essere nominato da Papa Francesco, nel giugno scorso, Amministratore apostolico del patriarcato latino di Gerusalemme. “La situazione dei cristiani in Siria, Iraq ed Egitto è una completa tragedia. Qui tutto è distrutto. La Comunità internazionale fa troppo poco” ha dichiarato il presule puntando il dito contro le istituzioni internazionali.

Ma era proprio necessario che Aleppo diventasse una città fantasma e al Cairo morissero altri 25 cristiani per far sì che i media internazionali si accorgessero che in questa zona le comunità cristiane ora più che mai rischiano di sparire sotto i colpi della persecuzione sistematica dello Stato Islamico? A quanto pare, sì. Oppure, già si conosceva la situazione, ma si è preferito soprassedere. In ogni caso, già si pagano le conseguenze. Soprattutto in Europa. Solo nel febbraio scorso, infatti, il Parlamento europeo ha riconosciuto come “genocidio” la situazione dei cristiani in Siria e Iraq, ovvero quando ormai la portata della strage era diventata troppo grande per essere oscurata. Numeri alla mano, in Iraq i cristiani sono passati da un milione e duecentomila negli anni ’90, a poco più di 250 mila nel 2015. Analoga sorte in Siria dove dai 2 milioni di cristiani nel 2011 si è passati a una stima che va tra le 600 mila e le 900 mila persone, con l’emblematico caso di Aleppo, dove rimangono 50 mila cristiani degli oltre 400 mila che lì vivevano prima della guerra.

Ovviamente si tratta di cifre in costante aggiornamento e in ogni caso sommarie, data la velocità con cui lo Stato Islamico semina terrore e vittime e il continuo evolversi della situazione, soprattutto in Siria. Una cosa è certa: tutto questo è frutto di anni e anni di attentati, lotte e stermini nella zona. Non certo di casi isolati. Anche in Egitto, dove i cristiani sono circa il 10% della popolazione, la situazione non è delle migliori. L’attentato kamikaze targato Isis dell’11 dicembre scorso nella chiesa cristiano-copta di San Pietro e Paolo adiacente alla cattedrale di San Marco al Cairo che ha causato 25 morti (di cui 6 bambini) e circa 35 feriti, è stato un vero e proprio colpo nel cuore della comunità copta. Tuttavia, quello dell’11 dicembre è solamente l’ultimo di una lunga serie attacchi contro la comunità cristiana.

Solo per citare alcuni casi, erano copti, infatti, i cristiani trucidati dallo Stato islamico su una spiaggia della Libia nel febbraio del 2015, nel terribile video con la  decapitazione di 21 prigionieri caduti nelle mani dei jihadisti. Così come copti i molti fedeli presi di mira, anche dopo gli stravolgimenti politici degli ultimi anni nel Paese delle Piramidi. Secondo l’Iniziativa egiziana per i diritti umani (Eipr), nella sola regione di Minya – dove i cristiani sarebbero circa un terzo della popolazione – si sono registrati 77 episodi di scontri settari dalla rivoluzione del 2011. Unica situazione di apparente stabilità, nel contesto mediorientale, sembrerebbe quella del Libano, dove, dopo due anni di stallo, si è formato il nuovo governo di “unità nazionale” guidato dal sunnita Hariri, 46 anni e già premier tra il 2009 e il 2011. Tuttavia, con l’entrata al governo del partito di Hezbollah (longa manus dell’Iran sciita a fianco di Assad in Siria), i cristiani hanno rifiutato di sostenere l’esecutivo.

E nel Paese sono tutt’altro che al sicuro. I miliziani del Califfato nel giugno scorso con un attacco kamikaze hanno ucciso 15 cristiani nella città di Kaa (Qaa), roccaforte cristiana del Paese, vicinissima al confine con la Siria. Obiettivo dichiarato del Califfato era e continua ad essere quello di destabilizzare il Libano, usando gli attacchi ai cristiani come “esca” per costringere il paese ad entrare in guerra. Pertanto, con la situazione incandescente della vicina Siria, parlare di stabilità è ancora molto difficile. Insomma, il Medio Oriente è la cartina di tornasole di una triste verità: i cristiani costituiscono la comunità religiosa al mondo maggiormente colpita da odio, violenza e aggressioni sistematiche. E questo l’Unione Europea lo sapeva bene, tanto che è stato proprio il Parlamento europeo a lanciare “un grido d’allarme” nel dicembre del 2015 dichiarando che “l’Ue non può permettersi di ignorare la situazione”. Ma ormai era già tardi.  

La verità è che l’Europa (e i media internazionali) non hanno mai affrontato di petto la situazione. Forse perché troppo presi a inseguire le primavere arabe sponsorizzate da Obama (come scrive oggi sull’Occidentale Daniela Coli), oppure troppo impegnata a sostenere (assieme ad americani, sauditi, qatarioti e turchi) i gruppi jihadisti come il famigerato “Jabat al-Nusra” e gli altri che, alla fine, massacravano proprio le comunità cristiane e bruciavano le Chiese, mozzavano la testa alle persone e crocifiggevano coloro che venivano considerati “apostati”. Forse, salvando i cristiani, l’Europa avrebbe salvato se stessa. Ora il prezzo che sta pagando è quello già preannunciato dal monito, passato sotto silenzio, che l’Arcivescovo cristiano iracheno di Mosul, Emil Nona, rivolse ai paesi europei nell’agosto del 2014: “Le nostre sofferenze di oggi sono solo il preludio di quelle che anche voi europei e cristiani occidentali dovrete soffrire in un futuro prossimo”. Profezia che oggi, vedi Parigi, Bruxelles e Berlino, si sta avverando.