L’Europa si mette a far politica e ottiene subito un successo

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L’Europa si mette a far politica e ottiene subito un successo

13 Agosto 2008

Su un punto la missione di Sarkozy a Mosca e Tbilisi è inequivocabile: per una volta l’Europa ha risposto “presente” di fronte ad una grave crisi internazionale. Il cessate il fuoco dichiarato da Russia e Georgia deve molto alla presidenza di turno francese dell’Ue, al viaggio sotto le bombe di Kouchner di lunedì scorso e a quello successivo dell’inquilino dell’Eliseo. La tregua è di quelle provvisorie e i sei punti negoziati (impegno a non ricorrere alla forza, cessazione immediata di tutti gli scontri, arrivo degli aiuti umanitari, ritorno delle forze georgiane alle “posizioni fisse”, ritiro delle forze russe sulle posizioni precedenti allo scoppio del conflitto, apertura di un dibattito internazionale sullo status di Ossezia e Abkhazia), ai quali si deve aggiungere la disponibilità tutta da definire nell’odierno vertice dei ministri degli esteri Ue all’invio di una missione di peacekeeping nell’area, non sono scevri da ambiguità. Il risultato resta però di alto livello, sia politico che mediatico. L’Unione europea, spesso e a ragione tacciata di ignavia sul piano delle relazioni internazionali, ha mostrato grazie a Sarkozy un’ottima capacità di reazione e un certo coordinamento, perlomeno tra Parigi, Roma e Berlino.

La mediazione di Sarkozy ha potuto operare innanzitutto grazie alle credenziali che il leader francese si è costruito nel suo primo anno di presidenza. Egli si è potuto presentare a Mosca e poi a Tbilisi come non pregiudizialmente anti-russo, come sarebbe accaduto ad un presidente di turno Ue di uno dei Paesi dell’ex-blocco sovietico. Ma anche, e questo è un dato decisivo, come non pregiudizialmente anti-americano, grazie alla svolta che negli ultimi quindici mesi ha impresso alla politica estera francese. Non a caso una Casa Bianca in evidente difficoltà, per il sostegno da sempre offerto alle ambizioni autonomistiche della Georgia, ha guardato di buon occhio l’operato di Sarkozy.

Fino a qui le note positive, ma non si può guardare obiettivamente alla situazione senza evidenziare anche le possibili zone d’ombra. La mediazione di Sarkozy ha funzionato, ma cosa sarebbe accaduto se la presidenza di turno fosse stata retta dalla Slovenia o dal Portogallo? Senza nulla togliere all’autorevolezza dei politici di Lubiana o di Lisbona è indubbio che il peso della diplomazia francese (e di altre diplomazie continentali come quella tedesca, inglese o italiana) non è certo comparabile. Questo per ricordare che senza Trattato di Lisbona (che prevede la presidenza fissa e l’alto rappresentante) l’autorevolezza a livello internazionale dell’Ue è strettamente legata a dinamiche intergovernative, ma soprattutto dipende in maniera quasi esclusiva dalla contingenza temporale nella quale la crisi si verifica. Qualcuno ha sentito parlare nel corso di questa crisi militar-diplomatica del Presidente della Commissione Barroso, dell’Alto Rappresentante per la politica estera Solana o del Commissario alle Relazioni esterne Ferrero-Waldner?

Altro dato da non trascurare l’Ue si è presentata nella controversia tra Russia e Georgia con un “peccato d’origine” alle spalle: la questione del Kosovo. Con la dichiarazione di indipendenza del 17 febbraio scorso e il riconoscimento successivo da parte della quasi totalità dei 27 (tra i più scettici solo Atene e Madrid), l’Ue ha formalmente inaugurato una “legalità creativa” su base etnica nell’area, in gran parte frutto del senso di colpa per l’incapacità mostrata nel corso del conflitto balcanico degli anni Novanta. Ma ha soprattutto creato un pericoloso precedente al quale Mosca ha potuto rifarsi nel sostenere le prerogative di indipendenza (ma formalmente di annessione alla Russia) dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia.

Infine la mediazione di alto livello di Sarkozy non mette al riparo l’Ue dal rischio di possibili spaccature. Oggi si svolgerà a Bruxelles un teso Consiglio europeo alla presenza dei ministri degli esteri dell’Ue e in particolare i Paesi dell’ex-blocco sovietico (capeggiati da Varsavia e Praga) e i tre membri baltici dell’Unione (Lettonia, Estonia e Lituania) non sembrano molto inclini ad accettare una mediazione che non suoni come una netta condanna di quello che viene percepito come un “nuovo imperialismo russo”. Emergono su questo punto tutte le differenze di percezione tra la “vecchia” e la “nuova” Europa e soprattutto quanto il processo di integrazione tra l’Ue a 15 e l’attuale a 27 sia ancora lontano dall’essere compiuto. A dimostrazione di quanto le linee di frattura siano ancora aperte basta guardare l’immagine del leader georgiano Saakashvili che arringa i suoi connazionali con accanto il presidente polacco Kaczynski e i tre Capi di Stato di Lituania, Lettonia ed Estonia, oltre all’ucraino Yushchenko, che ha interpretato le bombe su Gori come un preludio ad un possibile attacco a Kiev.

Nell’immediato a pagarne le conseguenze potrebbe ancora una volta essere l’architettura istituzionale dell’Ue. Se da Bruxelles dovesse uscire un compromesso al ribasso, frutto di una fragile mediazione di facciata, a rischiare di essere immolato potrebbe essere il Trattato di Lisbona, che nelle prossime settimane dovrebbe ottenere un complicato via libera da Praga.

Sarkozy a Mosca e Tbilisi ha mostrato che l’Unione può essere in grado di agire rapidamente e in maniera autorevole nelle più complicate crisi di politica internazionale. Ha altresì mostrato ai suoi critici quanto sia importante il recentrage della politica estera di Parigi nel mondo post Guerra fredda. Non ha potuto però nascondere tutte le difficoltà dell’Ue nel dispiegare una vera e concreta politica estera comune.