L’Europa svolta a destra ma la partita per Bruxelles è aperta

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L’Europa svolta a destra ma la partita per Bruxelles è aperta

L’Europa svolta a destra ma la partita per Bruxelles è aperta

07 Luglio 2023

L’Europa al bivio. Una proiezione YouTrend rompe, almeno momentaneamente, l’incanto perpetuo dei conservatori italiani. Se anche dalle urne di giugno 2024 scaturisse un risultato storico per Fratelli d’Italia, rimarrebbe remota la possibilità di un ingresso del gruppo dei Conservatori e Riformisti in una maggioranza “triangolare” con il Partito Popolare e i liberali di Renew Europe. Ciononostante, non perde terreno l’eventualità di una svolta a destra, suscettibile di trovare nelle materie di politica estera e difesa una “zona franca” particolarmente sensibile. Di certo, quello che pure rischia di restare in testa all’opposizione è un partito che – oltre a non aver sofferto più di tanto la dipartita dei “costituenti” Tories – non sembra volersi accontentare di qualche strapuntino in più nella tribuna degli spettatori.

L’Europa, il centrodestra e la prossima maggioranza al Parlamento Ue

È la domanda che più vivacemente agita i commentatori: sarà di centrodestra, la prossima maggioranza al Parlamento europeo? Per quanto elettrizzante, almeno se intesa in termini di politics competitiva, la prospettiva del ribaltone non appare oggi all’ordine del giorno. A mettere in chiaro questa precisa fattispecie è una rilevazione realizzata da Youtrend sulla base di dati simulati Europe Elects, da cui emergono numeri molto interessanti: a un “blocco” compatto formato dal Partito Popolare Europeo, dal gruppo dei Conservatori e Riformisti e dall’ancella liberale di Renew Europe mancherebbero, almeno in via previsionale, solo 20 seggi per formare una maggioranza compatta in un’Assemblea composta oggi da 705 membri.

Dei 73 seggi un tempo attribuiti al Regno Unito, solo 27 sono stati infatti redistribuiti agli Stati parte della costruzione istituzionale europea. I restanti 46 sono stati infatti messi “in riserva”, serbati in vista di possibili allargamenti dell’Unione in un futuro prossimo. Ricordiamo infatti come ben otto Paesi siano attualmente candidati all’ingresso, pur se con diverse (e comunque remote) possibilità di conseguire nell’immediato l’agognata membership.

Al di là degli scogli statistici, tuttavia, s’innalzano le barriere imposte dalla fattibilità politica e i numerosi elementi che depongono a sfavore di un’alleanza conservatrice che comporterebbe sì un indirizzo politico molto più nitido, ma sfonderebbe in un colpo solo il secolare mito dell’Europa del consenso, dell’Unione politica fondata sulla convergenza delle istanze in nome di ideali più alti. Questo è stato, per decenni, il sostrato politico dello storico accordo malcontento fra Partito Popolare e Socialisti&Democratici, che, peraltro, si avversano in tutte le possibili sfere esterne a quella della funzione legislativa europea.

Quei cento seggi che servono a Popolari e Conservatori

La costruzione di una “maggioranza di centrodestra”, per come è stata variamente immaginata e proposta, non dipende poi solo e soltanto dalla reciproca volontà politica dei gruppi interessati, benché già quest’ultima presenti degli evidenti profili di problematicità. Nient’affatto scontata è, per esempio, la disponibilità alla collaborazione di Renew Europe, raggruppamento che include anche partiti liberal-democratici più sensibili alle sirene progressiste. Accreditata, secondo le attuali proiezioni, di 243 seggi (161 PPE, 82 ECR), una coalizione PPE-ECR necessiterebbe altrimenti di almeno 100 seggi per raggiungere una maggioranza assoluta a Strasburgo, giacché tale soglia è da ritenersi imprescindibile per le più salienti delibere di bilancio o, più banalmente, per l’elezione del Presidente della Commissione europea.

Il candidato alla successione di Ursula Von der Leyen, infatti, sarà proposto dal Consiglio europeo e poi sottoposto – come da disposizione dei Trattati – a voto di approvazione dell’Assemblea. A fronte di un nome avanzato dai governi nazionali, con un particolare sistema di voto in virtù del quale i favorevoli devono rappresentare almeno il 65 % della popolazione affinché la delibera vada in porto, l’alleanza fra esecutivi popolari e conservatori – che escluderebbe i partiti di governo in Francia e Germania, i due Stati più popolosi – si troverebbe a convergere su un nome probabilmente sgradito, magari vederselo respingere, con il rischio di prolungare le procedure di elezione di una figura apicale. Non esattamente il miglior punto di partenza per una sana e scrupolosa collaborazione ispirata al principio della “buona fede” comunitaria fra governi e istituzioni europee.

Identità e democrazia

Dal grande “contenitore” conservatore resterebbe peraltro fuori anche Identità e Democrazia, la piattaforma comune dei partiti euroscettici e populisti di cui fanno parte la Lega, il Rassemblement National e Alternative für Deutschland, reputato inavvicinabile – per molti aspetti, a ragione – anche da diversi ministranti del succitato “ribaltone”. I partiti principali di ID hanno pesi specifici molto diversi e anche un eterogeneo grado di legittimazione presso i rispettivi elettorati nazionali, ma è indubitabile che la loro marginalità nella cabina di comando dell’Unione sia stata, fino ad ora, la principale assicurazione sulla vita di un’Europa non di rado amorfa e senza una precisa linea d’azione dinanzi alle grandi sfide del mondo contemporaneo, dall’immigrazione alle nuove turbolenze geopolitiche.

L’Europa balla a destra

Ciononostante, a ventitre anni dalla formazione – in Austria – del primo governo compartecipato dal Partito delle Libertà di Jorg Haider, carismatico leader carinziano all’epoca indiziato (e sanzionato) per insolenti improperi in odor di neonazismo e varie uscite xenofobe, l’Europa non è mai stata così esposta ai richiami di una nuova tentazione conservatrice. È sufficiente uno sguardo agli esiti elettorali più recenti per delineare una constatazione elementare: sulle sponde del Mediterraneo trafitto dall’emergenza migratoria, la Grecia ha appena riconsegnato una maggioranza bulgara al suo Primo Ministro uscente, Kyriakos Mitsosakis.

In Finlandia, il Partito dei Veri Finlandesi, nazional-conservatore, ha da poco concluso un accordo di governo con il Partito di Coalizione Nazionale, formazione liberal-conservatrice guidata da Petteri Orpo, vicepresidente del PPE. Ibidem in Svezia: al Riksdag di Stoccolma, i Democratici Svedesi di Jimmie Åkesson – che siedono fra i banchi di ECR in Europa – hanno ritagliato per sé un ruolo di primo rango nel percorso che ha condotto alla formazione dell’esecutivo diretto da Ulf Kristersson, presidente del Partito Moderato (PPE).

L’Europa e il laboratorio di Meloni in Italia

Dell’Italia di Giorgia Meloni si è parlato come di un “laboratorio politico” per indicare l’unione di partiti di destra lungamente infestata dai fantasmi mitterrandiani del “cordone sanitario”, nostranamente etichettati come “arco costituzionale”. Laddove non arrivano i dati concreti, poi, sono i sondaggi ad alimentare le aspettative. Dalla Spagna, prossima all’ennesima scadenza elettorale, con un Partido Popular in ascesa e pronto a ricomporre con i neofranchisti di Vox per una maggioranza politica “all’italiana”, alla Germania, dove AfD ha da poco eletto il suo primo sindaco – ancorché simbolica, la notizia è scioccante – e viene accreditata del 18/19 % in tutte le rilevazioni nazionali, con picchi di consenso del 30-32 % nei Länder dell’ex Repubblica Democratica Tedesca, un tempo incorporati nel blocco orientale. Eclatante è il fatto che AfD non sia ancora considerabile un partito “istituzionale”, come testimoniano le diffuse scorie d’indulgenza nei confronti del Terzo Reich, la russofilia spuria e posizioni solo eufemisticamente descrivibili come “xenofobe” o “antisemite” ancora rivendicate da esponenti chiave dell’estrema destra tedesca.

Lo spartiacque dei conservatori europei

Posizioni che costituiscono in sé alcune tra le ragioni per cui, in ogni caso, AfD e il gruppo a cui appartiene, Identità e Democrazia, non potrebbero che rimanere esclusi anche da una maggioranza imperniata su ECR e PPE. Malgrado i tentativi alacremente profusi da Giorgia Meloni per incassare tutti i dividendi del proprio trionfo interno ed estromettere dalla maggioranza i socialisti, freschi dell’eliminazione della “D” di “democratici” dalla propria nomenclatura, le zone di contatto fra il PPE ed ECR potrebbero presto o tardi dischiudere un doloroso incanto per la Presidente del Consiglio.

Se le urne dovessero creare le condizioni anche minime per una riconferma della tradizionale convergenza di status quo fra centro-destra e centro-sinistra, e ai Conservatori dovesse dunque toccare una nuova legislatura di opposizione, popolari e socialisti dovrebbero però fare i conti con la pericolosa eventualità di ritrovarsi chiusi – contro la loro volontà – in una sorta di “guscio vuoto”, poiché osteggiati nel proprio operato da un Consiglio egemonizzato da governi di destra e di centro-destra.

Uno scenario, quest’ultimo, che aprirebbe lussureggianti praterie di consolazione per il gruppo presieduto da Giorgia Meloni, specie in caso di sorpasso sui Verdi o addirittura su Renew Europe. Muniti di una certa libertà d’azione, i Conservatori potrebbero infatti agire da “spartiacque” dell’agenda politica europea, orientando l’attività assembleare verso tematiche a loro più care, mediante intese di circostanza con i Popolari e con il tacito appoggio degli organi di Stati, quali Consiglio e Consiglio europeo, similarmente a quanto fatto dai Verdi nella corrente legislatura.

La partita di Weber

Difesa europea, immigrazione e le nuove issues culturali sono solo alcuni spunti. Un eventuale “asse” strategico esterno alla maggioranza sarebbe abbastanza prestante da archiviare tutte le direttive green sfornate negli ultimi due anni dalle istituzioni dell’Unione. Croupier di tutti i giochi resterebbe comunque il PPE, un partito dal peso specifico calante, ma determinato a non perdere la regia di un momento politico di buon auspicio per le forze conservatrici.

In tal senso, risulta difficilmente contestabile la strategia di Manfred Weber, che ha una bussola evidente: tenere ad ogni costo le fila della situazione e restare deus ex machina, sia nella remota, ma non velleitaria ipotesi di successo del “ribaltone”, sia nel caso di permanenza dell’ancoraggio socialdemocratico nella maggioranza. Se il ruolo cui potrà invece accedere ECR è costellato da una serie di interrogativi e rappresenta uno dei grandi dilemmi della contesa, il PPE intravede nel proprio orizzonte un obiettivo non discrezionale: la conservazione di una trentina di posizioni decisive alla sopravvivenza della propria leadership. Dinanzi al bivio, in Europa ogni seggio val bene una danza, ché in politica nessun amico è per sempre.