Libera religione in libera democrazia

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Libera religione in libera democrazia

16 Novembre 2008

La religione è qualcosa di privato, che ha attinenza solo con la coscienza del singolo, oppure svolge (anche) un ruolo pubblico? In una religione è più importante l’aspetto istituzionale (la chiesa) o quello teologico (il credo)? Possono essere comparate fra loro le principali religioni del mondo, e su quali basi? Nel mondo moderno, caratterizzato dall’onda lunga e inarrestabile della democratizzazione della società, della politica e della cultura, la religione è un ospite sgradito oppure un alleato necessario? E da che cosa dipende l’eventuale utilità della religione in democrazia?

Tutte queste domande sono rintracciabili nell’opera di Alexis de Tocqueville: ce lo dice Paolo Ercolani, che cura una antologia estratta dai volumi, saggi e lettere dell’autore normanno, e li fa precedere da un saggio introduttivo. E’ vero che il problema della religione e della sua funzione è uno di quelli più presenti all’autore della Democrazia in America: molte pagine di quest’opera, uscita in due volumi nel 1835 e 1840, sono dedicate al tema. Tocqueville si chiede quali religioni siano presenti sul suolo americano, che carattere abbiano le molte varianti del protestantesimo che vi hanno preso piede, a partire dalla setta dei Quaccheri che ha dato avvio alla nazione statunitense, che ruolo esse svolgano nella vita complessiva del Nuovo Mondo. In tutti i suoi viaggi Tocqueville è colpito dal fatto che le nazioni che percorrono velocemente la via della modernità (cioè, per lui, della democrazia) siano caratterizzate da uno stesso fenomeno: la religione non viene lasciata alle spalle come un inutile ingombro, ma accompagna il nuovo modo di governare, il modo nuovo di fare politica, il modo nuovo di vivere, e vi si intreccia strettamente.  

Da qui la domanda sul ruolo della religione: il francese si chiede se la religione abbia (anche) una funzione sociale, politica, e risponde positivamente. Tale funzione consiste nel cementare l’unità sociale, nel rendere i credenti pacifici, uniti gli uni agli altri da vincoli, solidarietà e altruismo, e al contempo alleggerisce il materialismo dal quale una società democratica rischia di essere sommersa se non le si trovano contrappesi validi. La religione volge la mente del credente all’immateriale, allo spirituale, al trascendente, e compensa così quella partecipazione al mondo terreno impetuosa e concreta che rischierebbe di travolgere gli uomini, le idee, i valori e i fini non strettamente quantitativi. Chi legge si chiede però se questa funzione della religione per Tocqueville valga e debba valere in generale, sia una sorta di regola aurea da applicare a tutte le società, oppure se valga esclusivamente per gli Stati Uniti: è solo per quel paese, fra i tanti visitati, che egli osserva la venerazione per il denaro, la corsa frenetica al guadagno, il predominio così evidente della materia sullo spirito. Estendere tale caratteristica (che segna l’America per la storia che ha avuto) a tutti i paesi democratici o moderni forse non era nelle intenzioni di Tocqueville: autore che si sottrae alla generalizzazione salvo quando profetizza (ma lo fa di rado e su questioni memorabili, ad esempio la marcia implacabile della democrazia). La sua analisi è sempre puntuale, si attaglia con precisione alla realtà – americana nella fattispecie -, e non ricordiamo passi in cui tratti del ruolo della religione in generale nella società democratica in generale.

Qual era una caratteristica importante secondo Tocqueville delle sette religiose americane? Il fatto che la religione che praticavano fosse più simile a una morale che a una dogmatica: regola di vita più che fede. Tradotto nella nostra riflessione sulla religione in democrazia, significava osservare che proprio là dove la religione svolgeva una importantissima (e quasi necessaria) funzione politica e sociale, essa si addolciva, si annacquava e perdeva la sua specificità. Religione non è la stessa cosa che etica o filosofia, anche se può implicare un’etica o una filosofia: e invece in America ne diventava un sinonimo.

Un altro elemento era rilevante nell’analisi di Tocqueville: convinto che ben presto il cattolicesimo si sarebbe diffuso enormemente negli Stati Uniti (prova che anche i grandi e i grandissimi a volte sbagliano), riteneva che il cristianesimo possedesse al suo interno un carattere improntato alla democrazia. Si trattava dell’eguaglianza di tutti i fedeli in uno stesso credo rispetto al loro creatore (Dio) e anche al sacerdote: era la fratellanza universale prevista dal cristianesimo per tutti coloro che credono. I fratelli erano da considerarsi tutti uguali fra loro, senza distinzione. Questo rendeva il cristianesimo una religione particolarmente adatta alla democrazia: la struttura della comunità dei fedeli ripeteva la struttura della società e la condizione dei cittadini di fronte al potere politico. Altre religioni erano meno simili o per niente simili alla democrazia: l’islamismo e l’induismo, ad esempio, alle quali Tocqueville si interessa. Quando parla di queste altre religioni, è severo: le giudica arretrate, intolleranti e guerrafondaie.

C’è un elemento nell’interpretazione del curatore di questo utile volume con il quale non possiamo consentire: è la tesi secondo la quale Tocqueville incarnerebbe un liberalismo staccato dall’economia, dal commercio e dal capitalismo e quasi antitetico a questi tre elementi. Per Ercolani Tocqueville concepisce la libertà come produttrice del commercio, ma non – viceversa – il commercio  come produttore della libertà. In questo modo, Tocqueville vedrebbe nel commercio, nella corsa alla produzione, nel capitalismo, non una spinta alla libertà (che verrebbe alla luce da sola e senza aiuti particolari), ma addirittura un intralcio, un pericolo, un ostacolo. Tocqueville dovrebbe quindi essere posto fuori e in constrasto  rispetto a quella illustre compagnia della quale fanno parte Constant, Montesquieu, e che nel Novecento accoglierà fra le sue file von Mises e Milton Friedman. Nel Mémoire sul pauperismo Tocqueville però sembra sostenere il contrario di quanto Ercolani afferma, tanto da porre le manifatture come la causa più certa della nascita e diffusione della democrazia. Comprendiamo che l’ossequio al maestro Domenico Losurdo critico del liberalismo borghese, del liberalismo economico di matrice liberista, induca Ercolani in questa interpretazione, ma dovrebbe riconoscere che nel liberalismo (in ogni liberalismo) la parte materiale dell’esistenza è vista come base e parte integrante della libertà. Se invece si vuole sottolineare il dato evidente che Tocqueville era stupito e un po’ spaventato per il materialismo americano, si afferma una cosa esatta, ma diversa dalla collocazione dell’autore in un liberalismo che si vorrebbe “atipico”. Ercolani afferma: “Tocqueville (..) preferiva, e di gran lunga, insistere sul fatto che commercio e prosperità sono due prodotti della democrazia liberale”. Su questo non siamo affatto d’accordo. Tra i due elementi passa per Tocqueville un rapporto reciproco: la democrazia liberale permette lo sviluppo del commercio e della prosperità, ma d’altra parte il commercio e la prosperità permettono il sorgere e lo sviluppo della democrazia liberale. Il rapporto fra loro è stretto, biunivoco, e sarebbe un errore separare ciò che per l’autore francese è unito strettamente. Sulla base di quali elementi, d’altra parte, si può affermare che il liberalismo di Tocqueville è “un liberalismo problematico e contrastato”? Quale sarebbe il liberalismo aproblematico e senza contrasti? Che valore può avere una classificazione di questo tipo?

Quanto alle vexata questio se Tocqueville stesso fosse o non fosse credente, lasciamo volentieri la questione alle dispute degli  oziosi: confessiamo che non ci sembra molto interessante. Crediamo che di un autore parlino i testi, non le convinzioni inconfessate, le ultime parole sul letto di morte o le volontà dei parenti. I testi di Tocqueville si interrogano – in un modo condivisibile dal credente e dal non credente – sul ruolo che la religione svolge in una democrazia. Lo fanno perché si pongono dal solo punto di vista che possa riguardarci: quello dello studioso della società democratica, del suo modo di vita e delle sue credenze.

Alexis de Tocqueville, Un ateo liberale. Religione, politica, società, saggio introduttivo e cura di Paolo Ercolani, Bari, Dedalo, 2008, pp. 348, euro 20.