Liberare la bioetica dall’ideologia
11 Maggio 2007
Il dipartimento di Bioetica della fondazione liberal ha organizzato, a Roma, presso l’università Gregoriana, il convegno “Bioetica: oltre le ideologie”. Nella prima sessione di mercoledì 9 maggio è stato presentato il manifesto “Per una bioetica critica”, con una relazione di Francesco D’Agostino e gli interventi di Ferdinando Adornato, Sandro Bondi, Mons. Rino Fisichella, Grégory Katz-Benichou e si è letto un contributo scritto di Francesco Rutelli, assente per pregressi impegni istituzionali. Nelle altre sessioni del convegno sono state discusse le relazioni di Assunta Morresi, Eugenia Roccella e Laura Palazzani. Nella mattina di giovedì 10 maggio si è infine svolto il forum “La fede e la scienza”, con la partecipazione di Luc Montagnier e S.E.Cardinale Camillo Ruini.
Il presidente della Fondazione, Adornato, ha messo subito in chiaro l’idea-forza del convegno: dibattere pubblicamente di bioetica oltre la cortina fumogena delle opposte ideologie – laici versus cattolici, per intendersi – e, nel contempo, ricollocare la mission della politica sul terreno dei valori e dei temi eticamente sensibili. Anche guardando oltre gli schieramenti politici contrapposti. Intento dichiarato, senza infingimenti né inganni, dunque già di per sé un contributo alla chiarezza laica del dibattito culturale e politico.
A sostenere questa iniziativa cultural-politica è intervenuto il pensiero denso e classicamente forgiato del prof. D’Agostino, che, insieme ad altri, ha redatto un manifesto per una bioetica critica. E dietro quest’aggettivo qualificativo, “critica”, c’è il cuore del problema e l’incunabolo di una nuova prospettiva. Il rilievo centrale della riflessione intorno alla bioetica si è ormai perso, sussulto dalle molteplici diatribe di scuola, quando non dai furori ideologici contrapposti. Invece, affermano i redattori del manifesto, la bioetica ha bisogno di un nuovo statuto teorico che guardi oltre le ideologie e raccolga i fermenti della modernità senza idolatrare lo scienza. Lo scientismo è la malattia infantile del modernismo, per dirla con uno slogan in voga nella cerchia di gente che di furori ideologici se ne intendeva, e parecchio. D’altro canto, il richiamo alla “criticità” non può essere compiuto senza ricondurre alla realtà in sé la teoria bioetica. Essere critici in ambito bioetico significa soprattutto ritornare alla realtà delle cose, alla sostanza della vita, cioè al “bene umano obiettivo”. In questo modo, la riflessione cessa di essere astrattamente speculativa e riconduce l’uomo alla ricerca della verità di sé, dunque alla ricerca di un fondamento universale, al quale ricondurre anche la politica. Anche la democrazia.
In questa fatica intellettuale si risentono gli echi di Benedetto XVI, ma non c’è neanche una traccia di confessionalismo, neppure spurio, in questo testo. Non a caso, sia Adornato, che Bondi, in qualità di politici, non hanno mai calcato la mano sulle fonti per così dire ecclesiastiche del tentativo intorno alla bioetica critica. Si è anche parlato di bioetica, ma senza accentuarne il tratto assoluto e pervasivo, anzi il prof. D’Agostino ha criticato a fondo la stessa categoria di “bioetica”, perché paludata fin troppo di politicismo e fin troppo debitrice di Foucault. Si potrebbe anche aggiungere, a difesa della biopolitica, che con Foucault, ma non soltanto con lui (in Italia, abbiamo Esposito e Agamben che tematizzano questa costellazione di pensieri da più di un decennio), si è aperto un terreno di confronto serrato e conflittuale, e dunque, proprio per questo azzerarne gli effetti con operazioni filologiche rischia di ridurre la portata del problema, senza averne neppure abbozzato un pallido accenno di soluzione (fatto, peraltro, fatto presente anche dallo stesso D’Agostino).
Certo è che, come ha sostenuto con dovizia di argomenti il Card. Ruini nel suo intervento, la riflessione radicale sul bene umano obiettivo trasferisce la questione sulla vita dal piano strettamente teorico a quello pratico, coinvolgendo così le scelte e le opzioni fondamentali degli uomini. Di conseguenza, non è irrilevante che l’opzione nihilistica del diritto, ad esempio, riporti al centro la forza come produzione della norma, né è irrilevante che, di contro, la filosofia obiettiva della vita fondi il suo approccio non tanto sul piano metafisico quanto su quello ontologico. E’ comunque sempre il relativismo nichilistico, ovvero il nichilismo vero e proprio, quello della transvalutazione dei valori” di nietzscheana memoria, a farla da padrone, nella postmodernità contraddittoriamente abitata da dèmoni di varia natura, nuovi totalitarismi ideologici e pulsioni pratiche all’addomesticamente del dissenso.
Ruini chiude il suo magistrale intervento con la citazione di un grande filosofo, Karl Löwith, contenuta in un testo classico, del 1949, ancora insuperato, Da Hegel a Nietsche: “Soltanto per l’affievolirsi del cristianesimo è divenuta problematica anche l’umanità”. Ecco, questa decisione teorica circa l’antropologia adeguata al bene umano obiettivo favorisce l’opzione umana giusta nei confronti della vita. Da qui potrebbe rinascere un confronto serrato e senza sconti, con un forte carico di teoria e con un minimo gravame di ideologia. Dopo questo convegno, forse questo pensiero non ricadrà solamente nel mare magnum dei desiderata di inizio secolo.