L’inevitabilità delle scelte
13 Settembre 2012
Conforta che il Mario geniale (Draghi) conquisti un po’di tempo per l’euro, dispera che il Mario svagato (Monti) dica la qualunque: dopo i governi che devono irreggimentare i parlamenti, le dichiarazioni di guerra a interi settori nazionali, la ripresa che nasce dentro di noi, arriva il Paese che si spreme da sé e l’idea metternichiana di un congresso di capi di Stato per mettere a posto i popoli.
Le parole dei leader sono rischiose perché mezzo essenziale di relazione tra Stato e nazione. In questo senso è bene riflettere su un concetto che ha ripreso molto a circolare. Quello dell’inevitabilità delle scelte: l’euro è inevitabile, l’Unione europea così com’è è inevitabile, il ruolo subalterno degli italiani per punirne la mediocrità da mancata riforma protestante (vedi Eugenio Scalfari e Luigi Zingales) è inevitabile. L’Italia era nata come inevitabile prolungamento dello Stato sabaudo e inevitabilmente rompendo con il Vaticano.
Era inevitabile tenere ai margini dello Stato sturziani e turatiani contro Giovanni Giolitti. Inevitabile entrare nella Grande guerra e così nella Seconda. Il proporzionale era inevitabile anche finita l’emergenza “Guerra fredda”. Mani pulite era inevitabile, l’antiberlusconimso più cieco e tramaiolo era inevitabile. Si contano sulle punte delle dita i politici italiani che hanno tentato, con alterne fortune, di evitare (o comunque limitare) l’inevitabilità delle scelte: Camillo Benso di Cavour, Giolitti, Alcide De Gasperi & Palmiro Togliatti, Bettino Craxi.
(tratto da Tempi)