L’Iran prende a sberle Obama e punta i missili su Israele

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L’Iran prende a sberle Obama e punta i missili su Israele

04 Marzo 2009

Barack Obama ha collezionato due sonore sberle politiche nell’arco di 24 ore sulla scena internazionale. Martedì, a stretto giro di posta, il premier russo Dmitri Medvedev ha rifiutato una trattativa tra Russia e Usa che mettesse sullo stesso piano la costruzione dello scudo spaziale difensivo e il persistente appoggio diplomatico e la incredibile collaborazione tecnico scientifica che Mosca continua a offrire al programma nucleare iraniano.

Mercoledì, le continua profferte di dialogo e di trattativa con il regime degli ayatollah sono state ridicolizzate dai discorsi della Guida della rivoluzione iraniana, l’ayatollah Khamenei e dal presidente Mohammed Ahmadinejad – in perfetta sintonia – che hanno attaccato frontalmente e personalmente lo stesso Obama, rilanciando la parola d’ordine della distruzione di Israele e intervenendo nel processo di pace mediorientale escludendo ogni e qualsiasi possibilità di trattativa.

Khamenei è stato sferzante: “Anche il nuovo presidente dell’America, arrivato al potere con slogan che promettevano il cambiamento delle politiche di Bush, sta difendendo il terrorismo di Stato parlando di impegno incondizionato per la difesa di Israele. Un altro grande errore è dire che l’unico modo per salvare il popolo palestinese è attraverso il negoziato. Ma negoziati con chi? Con un regime occupante e tiranno, che non crede in nessun altro valore che la forza? O negoziati con l’America e la Gran Bretagna che hanno commesso un crimine odioso creando e appoggiando questo tumore canceroso…?. L’unico modo per salvare i palestinesi è rimanere fermi e resistere. L’Olocausto è stato utilizzato per usurpare la terra dei palestinesi; l’Occidente e Israele mostrano la loro debolezza quando non consentono a nessuno di mettere in dubbio la Shoah”.

Dimostrando la piena sintonia con il detentore del vero potere in Iran, anche Ahmadinejad ha ribadito la posizione più oltranzista contro Israele, vanificando qualsiasi illusione: “La storia dell’Olocausto, una nazione senza terra e una terra senza nazione…. sono le più grandi menzogne della nostra era: la permanenza del regime sionista anche di un solo centimetro nella terra palestinese, a causa della natura di quel regime, significa la continuazione del crimine, dell’occupazione, della minaccia e dell’insulto alle nazioni”. A siglare la linea oltranzista, infine, il comandante dei pasdaran iraniani Alì Jaafari ha annunciato che ormai Teheran è in grado di colpire con i suoi missili i siti nucleari israeliani.

Parole e minacce, si badi bene, che hanno una eco immediata su Hezbollah libanese – il cui leader anche dal punto di vista formale è proprio Khamenei – e su Hamas, da anni stretta alleata degli ayatollah iraniani da cui oggi si sente – per l’ennesima volta – pienamente legittimata nel rifiutare proprio le condizioni che ieri –inutilmente – Hillary Clinton le ha chiesto: riconoscimento di Israele, rinuncia alla violenza e sottoscrizione dei patti siglati dall’Olp con Israele.

Un intervento a gamba tesa talmente duro e importante, che – e il fatto è assolutamente inusuale – il presidente dell’Anp Abu Mazen ha dovuto intervenire nell’arco di poche ore in durissima polemica – è la prima volta che lo fa in modo diretto e pubblico – con Khamenei e Ahmadinejad: “Teheran deve smetterla di interferire con le questioni interne palestinesi. Perché questo aumenta solo le tensioni tra palestinesi”.  

Alle profferte di Obama di pace e mano tesa a chi apra il pugno e smetta di minacciare, l’Iran ha dunque risposto con il pugno chiuso, ma con una gragnaiola di pugni, chiudendo ogni spazio di trattativa e dimostrando che – checché Obama ne dica – non vi è alternativa alla linea frontale assunta da George W. Bush, soprattutto dopo che lo stesso el Baradei – da sempre ambiguissimo nei confronti dei progetti di Teheran – ha detto.

Resta ora da capire che senso abbiano le aperture, che comunque continuano a svilupparsi, che Washington ha deciso di attuare con la più fedele alleata di Teheran nell’area: la Siria di Beshar al Assad. Nulla, assolutamente nulla è stato fatto negli ultimi mesi dal regime siriano per attestare un rallentamento dell’alleanza con l’Iran di Khamenei e per di più, sempre l’Aiea, ha sostenuto che le tracce di uranio riscontrate nel sito militare bombardato l’anno scorso dall’aviazione israeliana, non possono essere collegate alle bombe di Israele e che quindi in quel sito si maneggiava illegalmente uranio.

I primi passi di politica mediorientale di Obama, dunque, non segnano affatto una svolta ma solo e unicamente la rapida e ingloriosa sconfitta di un velleitarismo diplomatico e trattativista che viene addirittura irriso dagli interlocutori.

Il problema dei prossimi mesi, soprattutto dopo le elezioni presidenziali iraniane del 12 giugno che segneranno sicuramente il trionfo dell’asse pasdaran/ayatollah oltranzisti (magari non assegnando la vittoria ad Ahemadinejad, ma a un oltranzista un po’ più presentabile di lui), è che non si intravede nell’amministrazione americana il formarsi di un “piano B”. Se, come tutto indica la storica “svolta” non avrà spazio per affermarsi, se, come ormai dice lo stesso el Baradei, l’Iran deciderà di fare il passo verso l’atomica che è in grado di fare, quale sarà la strategia della Casa Bianca? Al momento è un mistero.