Lirica: un po’ tradizione e un po’ videoclip
24 Giugno 2007
Come togliere la muffa dalla “musa bizzarra e altera”, la lirica – l’ultima espressione forse delle arti colte – ed attirarvi al tempo stesso quel pubblico giovane che sembra scomparire dai teatri d’opera? Ce se siamo occupati in occasione del nuovo allestimento de “La Traviata” di Giuseppe Verdi con regia, scene e costumi di Franco Zeffirelli . Vale la pena di tornare sul tema in occasione di due eventi molto differenti: la prima mondiale, a Roma. dell’”opera video” di Adriano Guarnieri “Pietra di Diaspro” che si potrà vedere ed ascoltare al Ravenna Festival (sino al 22 giugno) e probabilmente l’autunno prossimo in circuiti italiani e stranieri; il nuovo allestimento dell’”Anello del Nibelungo” d Richard Wagner al Maggio Musicale Fiorentino sino al 29 giugno. Il lavoro di Guarnieri è un oratorio profano di un’ora e mezzo in cui grande organico orchestrale, musica dal vivo, solisti in buca, 14 voci, live electronics, danze e mimi ripropongono un tema eterno: la lotta tra la Babilonia terrestre (del potere e della lussuria) e la Gerusalemme celeste (risplendente di “pietra di diaspro”, bianca e lucente, come nell’Apocalisse di Giovanni. In effetti, la parte visiva è importante quanto quella musicale. Cristina Mazzavillani Muti è una specialista di scenografie virtuali digitali. Assistita da Ezio Antonelli (immagini virtuali), Alessandro Lai (costumi) e Patrizio Maggi (luci), e svincolata dal dovere seguire un intreccio, crea (con un gioco di immagini virtuali, proiezioni e specchi) un susseguirsi di effetti speciali strettamente legati alla musica per dare corpo agli stati d’animo. I cantanti restano ai lati dell’orchestra ed i cori nel fondo scena, ma con un numero limitato di mimi e ballerini – la coreografia è di Silvia Curti – Cristina Mazzavillani Muti rappresenta efficacemente sul palcoscenico il dramma spiritual espresso dalla scrittura orchestrale e vocale e dal live electronics. Accurata la fantasia di colori che accompagnano le singole sequenze musicali sino a esplodere del luminosissimo bianco del finale.
“L’Anello del Nibelungo” di Richard Wagner (in gergo, il “Ring”, un prologo – atto unico di due ore e mezzo e tre opere, o “giornate”, di circa 5 ore ciascuna) torna a Firenze dopo quasi 40 anni di un allestimento allora considerato leggendario. Il direttore d’orchestra è sempre Zubin Mehta, Mentre la regia era affidata a Luca Ronconi e le scene a Pier Luigi Pizzi, in questa edizione (coprodotta con il Palau de les Arts di Valencia) l’allestimento è curata dal gruppo d’avanguardia catalano La Fura del Baus. Le prime due opere – “L’oro del Reno” e “La Valchiria”. sono in scena a Firenze sino al 29 giugno; si annuncia già una lunga tournée internazionale. Le altre due verranno rappresentate nel 2008 e nel 2009. Nel 2010 è in programma l’intero ciclo nell’arco di una settimana.
Il “Ring” è una visione cosmica, dalla creazione del mondo al crepuscolo degli Dei, tratta da saghe nordiche. Mentre gli allestimenti dell’ultimo mezzo secolo (anche quello fiorentino del 1979-82) hanno privilegiato interpretazione socio-politiche e psicologiche, la Fura dels Baus offre una lettura meticolosa del mito e del testo utilizzando la tecnologia più avanzata. Da 12 enormi schermi ad altissima definizione (fondale e quinte del palcoscenico) emergono immagini, rafforzate da proiezioni su schermi trasparenti. Il visivo viene mutuato dal linguaggio televisivo, dai video-clip, dalla pop-art, dai messaggi pubblicitari, ma è costantemente in sintonia con quanto avviene e in scena e in buca d’orchestra. “L’oro del Reno” diventa un’immensa sgargiante play station per raggiungere il Walhalla, il Paradiso dei miti nordici. In “La valchiria”, la play station è, in gran misura, nel mondo degli uomini ; le immagini sono più contenute e, tra i colori, dominano il bianco e nero e la varie gradazioni del rosso. In questa rappresentazione stilizzata, i cantanti devono essere non solo attori ma anche atleti: gli Dei recitano e cantano quasi sempre a mezz’aria sorretti da macchine sceniche post-moderne ispirate al teatro barocco, le figlie del Reno nuotano in vere vasche e vanno sott’acqua tra una nota e l’altra, il Dio del fuoco sfreccia in motorino sul palcoscenico. Un’interpretazione certamente ardita, che ha fatto arricciare le sopracciglia ad alcuni ma ha avuto oltre un quarto d’ora di applausi dopo le 5 ore di “La valchiria”. E ha portato molti giovani a teatro (anche a motivo della politica di prezzi adotta – € 15 per chi ha meno di 26 anni).
E’ una strada da intraprendere? Da percorrere? E’il sentiero già seguito si badi bene in Germania, negli Usa ed in alcuni teatri francesi. Sembra avere successo. Che l’innovazione debba essere inclusa tra i criteri di ripartizione del Fondo unico per lo spettacolo (Fus)? Ci rifletta il Governo. E pure l’opposizione.