L’Islam cerca il dialogo ma non condanna il terrorismo

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L’Islam cerca il dialogo ma non condanna il terrorismo

03 Novembre 2007

Nulla
di particolarmente degno di interesse nella lettera dei 138 saggi musulmani del
13 ottobre indirizzata al Papa ed ai Capi cristiani diffusi nel mondo. Le
solite sdolcinatezze tese  alla “captatio
benevolentiae”, cioè la consueta tattica del bastone e della carota in cui gli
islamici sono grandi maestri. Unica nota positiva è quella di veder condivisa una
prospettiva di confronto multilaterale tra sunniti, sciiti e sette di tendenze
divergenti che per secoli si sono combattuti tra loro per la conquista del “Daar-al
Harb”, di una civiltà come la nostra: una sorta di armistizio in una fase
storica molto delicata per i destini del mondo.

Il documento, pur ispirandosi a principii di ordine religioso, assume un valore prevalentemente
etico e politico dal momento che viene sottoscritto da un gran numero di
studiosi e di consulenti appartenenti a ben 43 Stati a maggioranza islamica e promosso
da un sovrano illuminato come il re di Giordania, alleato degli USA e di
Israele. Sebbene indirizzata alla cristianità, la lettera è multifronte, nel
senso che è un monito lanciato a tutti i fondamentalismi religiosi, a quelli cioè “che provano piacere nel conflitto e nella
distruzione mettendo in gioco la stessa sopravvivenza del mondo
”.

Non
v’è dubbio che questa lettera è permeata da un malcelato timore di un incombente
conflitto laddove invoca: “….facciamo almeno
in modo che le nostre differenze non provochino odio e conflitti tra noi
che rappresentiamo
il 55% della popolazione di questa terra
” (Capo III). Ma non si capisce se
questo appello all’unitarietà sia indirettamente indirizzata a contrastare la corrente
religiosa wahabo-salafita – quella che sparge terrore nel mondo –  oppure è un messaggio trasversale rivolto
all’Occidente quando denuncia che tutto potrà andare come previsto “…a condizione che i cristiani non dichiarino
la guerra
”.

Richiamando
per analogia le citazioni degli evangelisti e delle sure coraniche del periodo
meccano che figurano nella “Sura della tavola imbandita”, laddove intendono che
le nostre diversità sono volute dall’unico
Dio
”, essi sostengono con forza che “è
possibile una convivenza nella diversità
”, sottraendosi cautamente nel
tracciare quanto meno delle proposte concrete. Una rivoluzione copernicana di
un buonismo stucchevole che mette in guardia i nostri massimi cultori
dell’islam come Magdi Allam, Lee Harris e Carlo Panella, avvertendoci che il documento
può essere una “trappola” o peggio un “falso ideologico”, dal momento che
tacciono sul resto dei passaggi coranici più controversi, specialmente quelli
riferiti al periodo medinese, dopo l’”egira”. Difatti fra tanta deferenza stridono
le firme di alcuni antisemiti come Yasser Ahmed al Tayeb, rettore
dell’università al Hazar del Cairo, o come Ahmed al Kubaisi, ex consigliere di
Saddam Hussein, che sostengono apertamente le azioni di martirio, tacendo che
la guerra all’Occidente è già stata dichiarata dal fondamentalismo maturato in
seno alla loro civiltà.

Per
questa ragione i nostri critici, la considerano una spudorata dissimulazione per
la retorica di cui è intrisa e per le forti ambiguità. Come ci fa notare l’arabista
Samir Khalil Samir, le maggiori ambiguità si riscontrano in alcuni passi tradotti
dall’arabo alle nostre lingue. Fra le tante, sicuramente la più inquietante, riscontrata
peraltro anche dal rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, mentre il testo
arabo si richiama al Nuovo Testamento, nelle nostre lingue viene tradotto in “Bibbia”,
lasciando intendere agli interlocutori arabi di aver escluso la realtà ebraica
che in questo momento storico invece è centrale. Samir ci riferisce inoltre che
nelle nostre versioni (inglese, francese, italiano e tedesco) si cita genericamente
Gesù Cristo, mentre nel testo originale si insiste nel considerarLo non figlio
di Dio ma il Messia, “Issa al Massih”. Stesso peso lo si riscontra nelle
affermazioni “come si legge nel Vangelo…”,
mentre, citando il Corano, essi scrivono “Dio
ha detto
…”. Infine, per sostenere l’unicità di Dio, che tale è nella
visione islamica, mettono ancora una volta in discussione la validità dei testi
di San Paolo allorché, introducendo la Trinità divina, avrebbe violato il messaggio originale
cristiano.

Da queste brevi
considerazioni, la disperata ricerca di un dialogo testimonia le insormontabili
difficoltà interne in cui si dibatte l’islam a causa di elementi spuri che negli
ultimi decenni, sfruttando la superstizione e la fede, dopo qualche secolo di
splendore, avrebbero mutato radicalmente tutta l’impalcatura coranica su cui
per millenni si è fondata una religione che, all’impatto con la modernità, non è
stata in grado di trovare alcuna via d’uscita dalla tribalità in cui si era cacciata.
In buona sostanza questo documento rappresenta una invocazione di aiuto, ancora
una volta però privo del coraggio di denunciare i loro assassini.

Ciononostante,
considerato lo sforzo profuso per un confronto, a fronte dei tanti intrapresi
dalla cristianità, il documento potrebbe anche essere accolto, a condizione che
si prendano di petto le questioni concrete, della
libertà religiosa, del rispetto assoluto dei diritti umani, del rapporto tra
religione e politica e dell’uso della violenza, non dimenticando mai le
lezioni della storia e cercando si evitare atteggiamenti
aggressivi che possano provocare le reazioni negative degli islamisti: la scaltrezza e la
suscettibilità di quella gente non ha pari in tutto il mondo.