L’Italia dei piaceri secondo Camillo Langone, gentiluomo
06 Novembre 2011
di Luca Negri
I grandi scrittori li riconosciamo quando riescono a catturarci, a destare la nostra ammirazione per il loro stile anche quando raccontano cose che non ci interessano. Ad esempio, il Mario Soldati del diario di viaggio attraverso i vigneti d’Italia (“Vino al vino” del 1977) può esser goduto anche da un astemio. Della stessa buona razza di Soldati, anche lui buon bevitore, viaggiatore e cattolico carnale, è Camillo Langone. Chi lo legge quotidianamente su Il Foglio difficilmente rimane indifferente a ciò che scrive. Può indignarsi, divertirsi, condividere preghiere o anatemi, però non può far finta di non aver letto. Né di aver letto qualcosa di discutibile ma scritto con estro innegabile.
Negli ultimi anni Langone ha pubblicato un romanzo “di pornografia cattolica”, una guida sui migliori ristoranti patri, un romanzesco viaggio nella provincia italiana, un riuscito tentativo di spiegare “la vera religione” alle ragazze, una “guida alle messe” che lo ha consacrato nella originale veste di “critico liturgico” e un “Manifesto della Destra Divina” di meritato successo. Da poco è uscito per Marsilio il suo ultimo libro, Bengodi. Come alcuni dei precedenti, raccoglie interventi già apparsi sulle pagine del giornale diretto da Giuliano Ferrara. E come sempre merita di essere letto anche da chi non può o non vuole necessariamente seguire consigli dati al “gentiluomo italiano” per scovare “cibi, bevande, vestiti e vizi che gli diano contemporaneamente identità e piacere. Molto piacere”.
Chi conosce poco l’autore penserà di trovarsi di fronte ad un libro sulle tradizioni mangerecce, enologiche o “vestimentarie”, tutt’altro. Langone sa che ormai se “un vino viene definito tradizionale significa che tende all’aceto” e che “cucina tradizionale” la fanno locali “dove i primi e i secondi sono pieni di sale”. Per lui la tradizione è stile, attitudine, non certo il parlare solo di “cose di ieri”. Nemmeno si tratta di un elogio del made in Italy, “retorica da convegni e uffici stampa”, spesso etichetta ingannevole perché appiccicata in qualche chinatown sperduta nello Stivale. Men che meno l’autore intende mischiare il nome a quello di Carlo Petrini, che tradisce l’unico vero fondamento della nostra unità nazionale, la lingua, battezzando con l’inglese “slow food” la sua proposta alimentare.
Vero che il sottotitolo tira in ballo “i piaceri dell’autarchia”, ma quest’ultima è intesa come “indipendenza innanzitutto culturale”, equidistanza da McDonald’s e dagli agriturismi. Piuttosto il Langone peregrinante per l’Italia scova prodotti interessanti, frutti del lavoro e del fiuto imprenditoriale di realtà economiche nazionali poco considerate dal Pil. Che lui segnala con tanto di indirizzo fisico e digitale. Per citarne solo alcuni: ricotta di Trani e barbera astigiano, caviale di Brescia e presepe partenopeo, tabarro e torrone d’Aquila, grappa goriziana e organi a canne, sigari toscani e fave di cacao, assenzio puro, sapone da barba e caciocavallo di Agnone (memorabile l’incipit del pezzo: “Esiste anche il Molise. Si tende a dimenticarne l’esistenza, però esiste”).
I consigli al gentiluomo non si limitano a ciò che va fatto, puntualmente compaiono capitoletti che mettono all’indice “la peste”, le cose da evitare accuratamente: il panino al formaggio e prosciutto (non per snobismo, per tenere le proteine separate), l’ideologia del “biologico”, la birra in lattina, i locali con schermi o musica da sottofondo, la pizza a domicilio, la movida ecc ecc. Che si lodi il pecorino d’Abruzzo o s’imprechi contro il kebab o le carte magnetiche che hanno sostituito le chiavi nei grandi alberghi, sempre di grande prosa si tratta. Non di rado puntellata con richiami ad alcuni maestri di stile o pensiero (“Aristotele mi ha reso antidemocratico, Sciascia antisiciliano).
Appurato che Langone fuma toscani di qualità “Soldati” perché, come il grande piemontese scomparso, è uno scrittore, ed è un grande scrittore, ci auguriamo che la sua prossima fatica sia un nuovo romanzo. Ne godremmo volentieri.