L’Italia di Benedetto Croce, Meuccio Ruini e del piccolo Colbert
06 Luglio 2008
Il fascismo sembra davvero imbattibile quando Luigi Albertini, mitico ex direttore del Corsera, decide di inviare a Benedetto Croce un manoscritto di cui ha apprezzato contenuto e verve. Dopo averlo letto, il Senatore la passa al suo editore, Laterza, che nel 1929 lo dà alle stampe. Il libro in questione è un ritratto di un protagonista dell’età napoleonica e dei primi anni di quella successiva, l’autore è un ex parlamentare buon conoscitore della macchina statuale. Il biografato si chiama Luigi Corvetto ed è un avvocato genovese che ha fatto carriera a Parigi sotto Napoleone e successivamente anche sotto i Borboni e che soprattutto, in qualità titolare delle Finanze, ha salvato dalla bancarotta la Francia post Waterloo. Lo scrittore invece ha il nome di Meuccio Ruini, dei suoi trascorsi prefascisti si è detto, dopo il 1945 fra le molte cariche ricoperte è, a un certo punto, eletto alla guida del Senato della Repubblica.
Il filosofo de “La Critica” così ricorda l’autore e le sue fatiche di studioso: “conosciuti i lavori di Ruini, rimasi meravigliato che in un uomo che io, quando ero stato ministro, avevo notato come un deputato alquanto irrequieto, ora scoprissi molta e non superficiale cultura storica, sussidiata da molta dottrina economica e finanziaria e di altri rami dell’amministrazione; e una vena di scrittore limpido e vivace; ed entrato con lui in qualche dimestichezza, che si convertì da entrambe le parti in affettuosa amicizia… gli consigliai…a ‘pensare per non pensare’, che voleva dire non solo cercare di disacerbare il duolo, ma di far qualcosa di utile e anche di non inefficace politica, secondo la massima appresa da De Sanctis, che tutto ciò che si fa di buono e di utile in qualunque campo è buona politica”.
La lunga citazioni crociana dice moltissimo delle qualità dell’autore e del suo scritto. Un testo brillante e avvincente, ma soprattutto solido. A Ruini il suo Corvetto piace ed è simpatico. La sua ascesa da buon legale di una Repubblica allo stremo alla ribalta delle Finanze francesi, di cui come si è detto, “eroicamente”, rimette in ordine conti e funzioni, lo affascina. In effetti, Corvetto è figura di tutto rispetto e apprezzabile complessità. Al dunque un temperato che si adatta, con garbo e non senza una certa realistica lungimiranza, ai tempi. All’arrivo dei francesi la Superba, per buon senso, li fiancheggia ma senza eccessi giacobini. Quando oramai è parigino e consigliere di Stato, per esplicito volere di Napoleone, davanti alla volontà del sovrano che vuole liquidare il Banco di San Giorgio, prova a resistere, ma poi si adatta. Una volta uscito di scena l’Imperatore, si ritira momentaneamente per poi riprendere servizio quando i nuovi sovrani glielo chiedono.
E’ un espertissimo di faccende fra il legale l’amministrativo e ha una buona conoscenza di economia e mercati. La chiamata al governo diventa così quasi automatica. Alla testa delle Finanze lavora di bulino e di pazienza. Ha da tener botta a una Camera decisamente reazionaria, ma alla fine porta a casa il ripristino dei conti. La Francia stremata dalle interminabili guerre napoleonica e dai conseguenti salassi al bilancio pubblico, divisa e a rischio di guerra civile, ha effettivamente trovato nell’accorto legale ligure, un Colbert in miniatura. Così quando nel 1818 oramai traballante nell’organismo Corvetto tira i remi in barca e si dimette, il rimpianto sarà quasi totalitario. Ora non resta che il ritorno a casa. Nel 1820 è infatti di nuovo genovese. Muore nel cuore della sua città a Palazzo Doria, in via Nuova (oggi Garibaldi) l’anno successivo.
Meuccio Ruini, Luigi Corvetto genovese. Ministro e restauratore delle finanze di Francia (1756-1821), il Mulino, pagine 342, euro 27,50.