L’Italia ha un governo stabile e D’Alema non riesce a farsene una ragione

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L’Italia ha un governo stabile e D’Alema non riesce a farsene una ragione

15 Giugno 2009

Faceva una certa impressione l’immagine che ieri gli schermi di Raitre hanno trasmesso nelle case degli italiani: un importante esponente politico, già presidente del Consiglio, che con ostentata freddezza sembrava quasi preconizzare un imminente colpo di Stato in Italia sotto forma di non meglio precisate "scosse".

L’aspetto esteriore della vicenda non deve sorprendere: è questo lo stile al quale Massimo D’Alema ci ha abituato. Né mi sembra utile, in questo frangente, esercitarsi nella dietrologia, rincorrendo ad ipotesi di complotto più o meno verosimili, e chiedendosi ossessivamente cos’è che l’ex premier del Pd aveva in mente quando invitava l’opposizione a tenersi pronta in caso di scosse prossime venture.

Non è questo il punto. Il punto è un altro. Per rendersene conto, basta mettere in fila ciò che è accaduto nel nostro Paese dall’aprile del 2008 fino a oggi. Il voto politico ha determinato una radicale semplificazione del panorama partitico, e consentito l’insediamento di un esecutivo che si caratterizza più come governo del leader che come governo di coalizione, con differenziazioni interne estremamente contenute e del tutto episodiche. In questi tredici mesi, l’Italia è stata attraversata da diverse emergenze di portata notevole: a tutte, il governo ha saputo rispondere con tempestività, restituendo allo Stato la sua primazia e ai cittadini il senso di vicinanza delle istituzioni. Dopo un anno, il voto delle europee e delle amministrative ha confermato che la maggioranza di governo è maggioranza nel Paese.

E’ questo il vero "complotto" nei confronti di una storia d’Italia che in fondo non ha mai accettato la presenza di maggioranze stabili ed efficienti e di minoranze che si candidassero al governo del Paese solo al termine naturale della legislatura. In questo quadro, qualcuno più degli altri ha sempre giudicato con scetticismo e diffidenza questo schema semplice di alternanza bipolare e di democrazia decidente, privilegiando analisi e schemi più complessi in nome di una presunta "diversità" di fondo della politica italiana. Da ciò sorge spontanea una domanda: perché stupirsi se oggi questo qualcuno non si riconosce nella situazione attuale e paventi possibili scosse che possano destabilizzare un quadro di stabilità?