L’Italia post voto tra populismo (di sinistra) e le nuove sfide del centrodestra

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L’Italia post voto tra populismo (di sinistra) e le nuove sfide del centrodestra

07 Marzo 2018

Le elezioni politiche del 4 marzo 2018 hanno sancito in Italia il collasso del Pd di Matteo Renzi, il clamoroso insuccesso del centrosinistra e della sinistra, e la nascita di un nuovo bipolarismo: da un lato la coalizione di centrodestra passata dalla leadership di Berlusconi a quella di Matteo Salvini; dall’altra il Movimento 5 Stelle. Con la fine ingloriosa del renzismo e dei suoi epigoni termina anche in Italia l’equivoco della sinistra “moderna”, globalista/europeista/liberale. Nell’Occidente contemporaneo, la sinistra resiste solo ormai come populismo antagonista contro le dinamiche della globalizzazione, sulla linea tracciata da Sanders negli Stati Uniti, dal Labour Party di Corbyn nel Regno Unito e da Melenchon in Francia.

Nel nostro paese però anche questa strada è strettissima, perché uno schieramento che faccia propria tale linea rischia ormai concretamente di essere fagocitato dal populismo dei 5Stelle. L’esperienza del partito di Liberi e Uguali, nata tra squilli di fanfare assemblando notabili frustrati della “ditta” PD e ambiziose “autorità istituzionali” come Grasso e la Boldrini, si è dissolta come neve al sole in poche settimane, fino ad imboccare lo stesso inglorioso destino di altre formazioni come Rivoluzione Civile di Ingroja, o Sinistra ecologia e libertà di Vendola. Il sistema elettorale parzialmente proporzionale, incoraggiando la presentazione di liste minoritarie ed estreme, ha favorito un ulteriore piccolo esperimento di velleitarismo ideologico con la nascita della lista neo-comunista Potere al Popolo, che ha però totalizzato un poco incoraggiante 1%.  

La realtà è che il sentimento e l’opinione pubblica che si potrebbero definire di sinistra “antagonista” in Italia sono stati già abilmente colonizzati dal populismo assistenzialista del Movimento 5 Stelle. Quel che resta del Pd non renziano e della sinistra “radicale” può ormai sopravvivere solo come satellite di Di Maio e dei grillini. Mentre il gruppo dirigente che si era illuso e aveva illuso di costituire un’élite liberalprogressista può soltanto tentare – fuori tempo massimo – la carta di una svolta “macroniana”, con la fondazione di una forza liberale fuori dal perimetro della tradizione di sinistra (cosa che forse Renzi se fosse stato più lungimirante avrebbe potuto fare nel 2012-2013), o ridursi mestamente ad appendice, a nuovi “responsabili” di un eventuale governo di centrodestra.

All’interno della disfatta del Pd e della sinistra c’è poi un’altra disfatta, non meno importante. La sinistra politica, intellettuale e mediatica che ha puntato su “più Europa“, su una espropriazione tecnocratica della democrazia approvata dalle lobbies transnazionali, si è rivelata un clamoroso fallimento. La lista +Europa  di Emma Bonino, le velate autocandidature di esponenti dell’aristocrazia para-tecnica e para-politica come Calenda, e altri tentativi simili (inclusa la “camomilla” di Gentiloni) sono stati spazzati via dalla realtà, e da un clima politico molto lontano da quello immaginato da élites interne ed estere: quello di un’opinione pubblica accomunata, nella varietà delle idee e delle opzioni elettorali, da una frustrazione profonda, da un sentimento rabbioso di ribellione al declino che quelle élites rifiutano ostinatamente di vedere.  

La forza politica che da tempo, e ancor più clamorosamente in queste consultazioni politiche, riesce ad intercettare più efficacemente quella frustrazione e quella ribellione è indubbiamente, appunto, il M5S. Il movimento oggi guidato da Luigi Di Maio catalizza in realtà gran parte di una opinione pubblica genericamente “antisistema” costantemente presente nell’Italia repubblicana, ma che negli ultimi anni si è accentuata e incattivita con la grande crisi economica globale. Con una geniale sintesi, esso raccoglie insieme l’anticapitalismo del vecchio PCI, l’assistenzialismo statalista della vecchia DC e l’antipartitismo della vecchia destra qualunquista, monarchica, missina. Il tutto spacciando l’illusione “punk” che tutti possano fare politica, e il più sprovveduto precario/disoccupato possa trasformarsi per magia in “classe dirigente”. In questo modo il M5S è diventato saldamente il partito di maggioranza relativa, e per di più ormai, con percentuali impressionanti, si configura come una vera e propria “Lega Sud“, in particolare grazie alla promessa irresponsabile del “reddito di cittadinanza”, misura che darebbe il colpo di grazia all’economia meridionale, ma viene vista da tanti ceti depressi o in difficoltà come una panacea universale al disagio economico.

Ora però, con la clamorosa affermazione ottenuta, quelli che a lungo sono stati chiamati “grillini” (oggi si può dire, ormai, impropriamente) sono giunti alla prova più difficile. Devono infatti dimostrare che questo bacino di malcontento e rivendicazioni può trasformarsi in progetto di governo. E se, come è possibile, cercheranno di trovare una maggioranza parlamentare ed un programma, dovranno rendere le loro suadenti lusinghe di sussidi e decrescita felice compatibili con le politiche di una democrazia industrializzata occidentale nel mondo globalizzato, il che è un’impresa per loro (al di là della diffusa incompetenza tecnica) quasi proibitiva. D’altra parte, essi sono però avvantaggiati dal fatto che i loro avversari attraversano crisi strutturali e transizioni di non poca gravità. Non soltanto la sinistra e il Pd, ma anche il centrodestra, che pure in queste consultazioni ha conseguito un risultato non certo disprezzabile.

La coalizione guidata ancora una volta (la settima!) da Silvio Berlusconi infatti si classifica al primo posto nel consenso degli elettori, ma non ha conseguito abbastanza voti per governare senza apporti esterni. Dà prova di grande solidità e vitalità, consolidandosi come blocco dell’Italia produttiva e d’ordine, cosa che il PD di Renzi non è mai lontanamente riuscito a fare, e praticamente ottenendo il monopolio dei seggi, o quasi, nell’Italia settentrionale e in gran parte di quella centrale. Le destre sono riuscite, inoltre, ad intercettare efficacemente le paure diffuse legate alla globalizzazione e all’immigrazione selvaggia, e l’insofferenza verso le gabbie dei vincoli europei, oltre che verso le dinamiche del capitalismo globale. Però sono riuscite in quest’impresa perché i loro equilibri interni sono drammaticamente mutati, e la nuova versione sovranista della Lega guidata da Salvini ha saldamente conquistato il comando della coalizione. Siamo, insomma, di fronte a un centrodestra post-berlusconiano, non più “moderato”, più nazionalista che liberale. 

Berlusconi, con un grande sforzo personale, a 81 anni ha svolto ancora una volta un ruolo fondamentale nell’aggregare e motivare uno schieramento competitivo. Senza il suo apporto, e la sua capacità di rappresentare ancora un rassicurante punto di riferimento per una quota importante dell’opinione pubblica, un risultato come il 37% non sarebbe arrivato. Ma la sua concezione della coalizione è ormai superata, e ha lasciato il campo alla guida “orgogliosamente populista” di Salvini. Ormai, indiscutibilmente, si avvia al tramonto la Forza Italia che negli ultimi 25 anni abbiamo conosciuto: perché è tramontato il “berlusconismo” come ideologia del “miracolo italiano”, liberalismo/populismo ottimista e individualista, di cui il renzismo è stato la caricatura radicaloide. E queste elezioni, con il risultato estremamente deludente della “quarta gamba” Noi con l’Italia, dimostrano che è tramontata anche, senza appello, la classe politica moderata post-democristiana, ormai del tutto incapace, in quanto tale (a prescindere dalle individualità) di dare risposte efficaci alle paure crescenti e al nervosismo ormai cronico di ceti che di “moderato”, nel senso tradizionale del termine, non hanno più nulla.

Insomma, tutto l’assetto del centrodestra deve essere rimesso in discussione, e sarà soggetto nei prossimi mesi ed anni a sollecitazioni non da poco. Se la coalizione vuole rimanere in piedi, vuole reggere alla tempesta scatenata dall’ascesa dei 5Stelle, e vuole sperare in futuro di riconquistare una salda maggioranza nel paese, deve dunque urgentemente cominciare a lavorare per costruire una nuova forza liberal-conservatrice, e una nuova piattaforma politico-culturale, che tengano insieme efficacemente libertà economica e aspirazione alla sicurezza, globalizzazione e identità/interesse nazionale, individualismo e senso forte della comunità.

Una destra “reaganiana” aggiornata all’epoca di Trump, insomma, e adattata ad un paese euro-mediterraneo che deve ritrovare una cultura della vita, della famiglia e della crescita, pena l’irrilevanza e l’estinzione. Questa è la grande sfida della destra nei prossimi anni. E ha bisogno di una classe dirigente giovane, coraggiosa e senza complessi di inferiorità verso nessuno. Almeno in questo, il centrodestra salviniano e post-berlusconiano deve sicuramente prendere esempio dai 5 Stelle.