L’Italia rompe il protocollo per chiedere più unità ai grandi della Terra

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L’Italia rompe il protocollo per chiedere più unità ai grandi della Terra

03 Dicembre 2010

Il vertice Osce in Kazakistan è stato un successo dal punto di vista formale, perché l’organizzazione internazionale più grande al mondo è stata presieduta per la prima volta da un paese ex sovietico, capace di organizzare il primo summit dell’Osce dopo undici anni. Ma questo vertice ha fallito nel risolvere la questione dei conflitti “congelati” e ora non resta che sperare in uno “spirito d’unità” tra i singoli leaders.

Il successo formale del vertice di Astana, la capitale del Kazakistan, il paese più vasto e ricco dell’Asia Centrale, ma anche un fragile mosaico di etnie e religioni, è aver messo a fuoco le più gravi crisi geopolitiche del continente asiatico. Sono i cosiddetti “conflitti congelati”: la decennale tensione tra Armenia e Azerbaijan per l’enclave armena del Nagorno-Karabak in territorio azero; lo status delle due ex repubbliche georgiane dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale, per le quali Russia e Georgia avevano guerreggiato nell’estate del 2008; la stabilizzazione del Kirghizistan e le sue pericolose ripercussioni sul confinante Afghanistan; la sorte della Transnistria, regione russa della Moldova che costituisce un’entità praticamente indipendente. Inoltre la presenza del Cardinale Segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ha denunciato come i cristiani siano attualmente il gruppo religioso più perseguitato al mondo.

L’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa era nata nel 1973 per tentare un timido dialogo tra Usa e Urss. E’ un’ottima struttura consultiva, capace di ascoltare e aggregare posizioni molto diverse. Ma l’Osce non è lo strumento adatto a ricomporre i conflitti. Anzi, proprio ad Astana il conflitto per il Nagorno-Karabak ha subito una grave involuzione. Adesso Armenia e Azerbaijan sono ritornate vicine ad uno scontro militare, che potrebbe replicare quello in Abkhazia e Ossezia del Sud. L’area tra il Caucaso e l’Asia Centrale verrebbe disseminata di nuovi conflitti su scala locale, aggravando quelli già esistenti in Cecenia, Daghestan e Inguscezia. Sono tutti conflitti scatenati dalla miscela esplosiva di fattori etnici e fattori religiosi – per giunta nella stessa area dell’Afghanistan, del Pakistan e anche dell’Iran. La Russia è il soggetto più influente ma, come dichiarato dal presidente Medvedev, Mosca chiede soluzioni diplomatiche – che però continuano a mancare.

Senza un coordinamento tra leaders mondiali e regionali, questi conflitti “congelati” rischiano seriamente di scaldarsi in scontri armati. Ecco perché serve lo “spirito di unità” che Berlusconi ha invocato ad Astana – e lo ha fatto fuori dal protocollo, per rimarcare l’urgenza di una cooperazione sistematica tra i grandi della terra, anche fuori dall’Osce. L’appello del premier italiano si è già concretizzato sia nella proposta operativa di un pattugliamento congiunto dei confini dell’Afghanistan, anche per contrastare il traffico di droga, sia nella ripresa immediata di colloqui sul Nagorno-Karabak. Più che la diplomazia, serve la politica come ricerca di un ampio e pacifico consenso per risolvere in modo unitario una pluralità di conflitti che continuano ad aggravarsi.