Lo scandalo da spionaggio è servito anche per sflilare Telecom a Tronchetti
22 Luglio 2008
Caro direttore, qualcuno lo ha paragonato a Giulio Andreotti. Mi pare eccessivo. Ma senz’altro il fatto che Marco Tronchetti Provera non sia risultato indagato nell’inchiesta milanese sullo spionaggio via intercettazioni telefoniche fa franare tutto un castello di accuse.
Quel che la stampa dà la stampa toglie – in termini di reputazione. Tronchetti dall’essere acclamato come il Gianni Agnelli del ventunesimo secolo è finito cacciato con disonore (sia pure non in stracci) da Telecom.
Si potrebbe malignamente ricordare che anche l’Avvocato, alla prova dei fatti, era tante cose ma non un grande businessman. Il genio imprenditoriale non si misura dall’ampiezza dei rever. Tutte le critiche al marito di Afef hanno pieno diritto di cittadinanza. Un Paese con un’opinione pubblica meno conformista avrebbe contenuto l’entusiasmo per i suoi successi, un giornalismo economico meno compiacente si sarebbe confrontato con quel che combinava in azienda, più che farne un’icona glamour.
Sarebbe anche surreale stupirsi dell’insistenza dei giornali (del gruppo L’Espresso in particolare) sulle indagini dei pm di Milano. Oggettivamente, se non emerge un diffuso senso di indignazione, di fronte ad una rete spionistica che avvolge tutto il Paese, quand’è che dovremmo scandalizzarci?
Il problema è che si è usata anche questa giusta e comprensibile reazione, perché fosse più facile sfilare l’azienda a Tronchetti. Che probabilmente ha gestito Telecom malissimo: e allora doveva essere impietosamente esposto alla disciplina di mercato. Mentre da noi è stata la politica, ancora una volta, a decidere chi dovesse comandare in Telecom.
Anche per questo, non stupisce che il sito Dagospia immagini grandi manovre all’orizzonte, in questo primo scorcio di legislatura. E’ come se la privatizzazione della compagnia telefonica non fosse mai stata completata. Il cambiamento degli equilibri politici prefigura regolarmente un riassesto nell’azionariato.
Se davvero Telefonica si prepara a lanciare un’opa (come secondo gli osservatori avrebbe senso, col titolo a questi livelli), il governo Berlusconi avrà una grande occasione per dimostrare di essere meglio dell’esecutivo che lo ha preceduto. Ricordiamo tutti la porta sbattuta in faccia agli americani di At&t da Prodi. Il centro-destra può considerare la telefonia meno “strategica” di Alitalia, ed evitare di suonare di nuovo la fanfara del nazionalismo economico.
Qualcuno non apprezzerà che si ammaini il tricolore in un altro grande gruppo. E’ l’effetto perverso delle privatizzazioni nazionalistiche. Negli anni Novanta, buona parte dell’imprenditoria pubblica è stata restituita al mercato. Con l’ambizione però che lo Stato non perdesse la presa, su quelle stesse aziende. Per questo, si sono privilegiati nuovi azionisti italiani, di consolidata vicinanza col potere, “guidabili” di volta in volta nella direzione più appropriata.
Il problema è che il mondo industriale italiano, compresso da più di cinquant’anni di crescente statalismo, non aveva le esperienze e le risorse per occuparsi di realtà tanto cospicue. Morale: lo straniero passa comunque, ma con anni di ritardo, nei quali si è distrutto e non creato valore e si è continuato ad alimentare un poco virtuoso circuito economia-politica. Il mercato avrà la sua vendetta.
Ma il tempo passato, anziché servirci per costruire pian piano una classe di imprenditori e manager più attrezzati, è stato utile soltanto per vedere cortocircuitare la nostra “economia di relazioni”.