Lo smemorato della Camera rinnega il suo passato pure sulle intercettazioni

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Lo smemorato della Camera rinnega il suo passato pure sulle intercettazioni

22 Luglio 2010

La nuova legge sulle intercettazioni è ormai più morta che viva. E del resto, con il nuovo vestito dell’ultimo emendamento che dovrebbe segnare la mediazione tra opposte opinioni, qualora anche fosse viva, sarebbe un gesto pietoso quello di ucciderla in culla, vista la sua totale inutilità.

Dopo una serie di taglia e cuci in cui si sono esibiti i seguaci del presidente Fini (che hanno strillato contro la versione della legge già approvata dal senato quanto e più dei magistrati e dei giornalisti e della stessa opposizione parlamentare), siamo arrivati al colpo finale. Che prevede un’apposita udienza in cui si apriranno trattative tra il giudice e gli avvocati di accusa e difesa per decidere quali intercettazioni saranno pubblicabili e quali no.

Sarà il tripudio del manuale Cencelli, proprio come fanno i magistrati quando devono eleggere i membri togati del Csm. Sarà lo scambio delle figurine Panini, io ti lascio secretare questa se tu mi lasci pubblicare quest’altra. E in quale momento avverrà questo mercato? Non si sa, in una fase imprecisata delle indagini preliminari, in cui si fermerà tutto perché bisognerà decidere quali veline passare ai giornalisti. E chi garantisce dal fatto che uno dei tre protagonisti non passi lo stesso sottobanco una copia di ciò che viene distrutto? Sarà tutto come prima ma con una perdita di tempo in più.

L’operazione è tutta politica. Il presidente della Camera è così soddisfatto che immediatamente rilancia: adesso la questione morale, dice ai giornalisti, perché sì, vabbè, ci sarà anche l’articolo 27 della Costituzione che prevede la presunzione di non colpevolezza fino a sentenza definitiva, ma quando è troppo è troppo. E così, dopo aver cianciato sul voto agli immigrati e sulla procreazione assistita, su Brancher e su Cosentino, Gianfranco Fini affila le armi aspettando al varco Berlusconi su Verdini e Caliendo. Nel nome di una “questione morale” di cui ritiene di essere l’alfiere.

Ma sulle intercettazioni è un po’ smemorato, il presidente della Camera. Prima di tutto perché non ricorda di aver votato, insieme a tutto il Parlamento, per la legge Mastella che vietava la pubblicazione di atti giudiziari per tutto il periodo delle indagini preliminari. E non ricorda neppure di aver tuonato contro le intercettazioni quando sotto la mannaia di un magistrato era capitata sua moglie. E’ questa la nuova moralità?

Quanto questa battaglia sulla pubblicazione delle intercettazioni sia stata solo politica e strumentale lo dimostra con chiarezza quanto è capitato nelle ultime settimane. Senza aspettare la riforma, sarebbe bastato applicare la vigente legge per far sanzionare tutti i giornalisti italiani che si occupano di cronaca giudiziaria. Quanto ciascuno di loro ha scritto sull’inchiesta che riguarda l’energia eolica e  sulla ridicola storia della P3, tutto era in violazione della legge. Tutte le intercettazioni che sono state pubblicate finora sono fuori legge. Eppure è stato fatto e nessun magistrato ha protestato, nessuna alta carica dello Stato ha posto la questione della legalità.

Qual è la morale? Che una nuova legge era ed è indispensabile, perché quella vigente non è applicata e in ogni caso le sanzioni sono così ridicolmente tenui da istigare alla violazione. Qualunque cosa succeda nelle prossime settimane in parlamento, soprattutto se il mostriciattolo sarà tenuto in vita, non cambierà niente per quel che riguarda il linciaggio costante del circo mediatico-giudiziario. A questo punto è assolutamente indifferente che viva o che sia lasciato morire nella stagione autunnale.

Ma la cosa grave è il rosicchiamento continuo, step dopo step, che il fuoco amico sta esercitando sul governo. E forse si è fatto un investimento troppo simbolico sulla pur sacrosanta riforma delle intercettazioni. Forse sarebbe bastato, in un primo momento, ripresentare la legge Mastella, che avrebbe messo in imbarazzo tutte le forze politiche (tranne i manettari) che l’avevano già votata nella scorsa legislatura. E’ vero che quel provvedimento risolveva solo uno dei due corni del problema, quello della pubblicazione e della gogna mediatica, mentre lasciava insoluto l’eccesso numerico e l’abuso che troppo spesso si fa di questa modalità di indagine. Ma era giù qualcosa, e si sarebbe potuto approvare in seguito la seconda parte del provvedimento. Non si sarebbero così saldate le due potenti corporazioni, quella dei magistrati e quella dei giornalisti. E non si sarebbe consentito a Fini di esercitarsi quotidianamente nell’arte del logoramento. Non si deve permettere più a lui né a nessun altro di affermare “io sono garantista, però”. E’ proprio la bandiera delle garanzie, dei diritti dell’individuo che oggi va impugnata, come è stato fatto nel ’94. E magari chiamando a raccolta anche i protagonisti di allora, sicuri che sarebbe difficile per chiunque agitare nei loro confronti la “questione morale”.