Lo spoil system del Governo per parenti e baroni

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Lo spoil system del Governo per parenti e baroni

24 Gennaio 2007

Un Ministro, Mussi, che inserisce nel decreto legge “milleproroghe” una norma per bloccare dei concorsi già avviati dal CNR per rinnovare i direttori di istituto del più prestigioso Ente di ricerca italiano e, in tal modo, completare la riforma del Centro avviata dall’allora Ministro Moratti. Un Presidente, Prodi, che in Consiglio dei Ministri non sente l’esigenza di allontanarsi al momento dell’approvazione di un provvedimento che proroga l’incarico di direttore al fratello, professor Franco Prodi. 89 direttori di istituto che, grazie a questa norma, hanno evitato di essere valutati in una prova concorsuale in competizione con giovani talenti nazionali. Fin qui i fatti. Da essi emerge un palese conflitto di interessi, un atipico esempio di spoil system “in entrata”, l’insuperabile capacità di questo governo a sintonizzarsi con l’interesse nazionale.

Sulla prima responsabilità – il conflitto d’interessi – si potrebbe anche soprassedere, se non fosse per l’effluvio di retorica che l’attuale maggioranza ha speso sull’argomento e la voglia di farla finita, una volta per tutte, con la regola dei “due pesi e delle due misure”. Franco Prodi, comunque, resta un ottimo scienziato e, francamente, le altre colpe delle quali il Governo si è macchiato appaiono più gravi.

Quotidianamente si sta infatti assistendo a una metodica e scientifica – mai termine fu più appropriato – campagna di riconquista dei centri di potere che l’attuale maggioranza ritiene essergli stati indebitamente sottratti, o anche solo minacciati attraverso il bando di un concorso per titoli. In modo irresponsabile il governo Prodi ha iniziato il suo mandato ponendosi come obiettivo quello di fare tabula rasa di quanto realizzato dal governo di Silvio Berlusconi, a prescindere da una valutazione nel merito.

Non sono a tal punto partigiano da ritenere quanto fatto nella precedente legislatura sempre e comunque positivo. Non dovrebbe, però, valere neppure il pregiudizio contrario. E un’azione effettivamente riformatrice avrebbe dovuto ambire a comprendere laddove si era avviato un reale processo di ammodernamento del Paese attraverso lo sradicamento, soprattutto nel settore pubblico, di sacche di potere autoreferenziale sedimentatesi nel tempo.

Ciò che è accaduto al CNR rende emblematica questa incapacità della sinistra. Franco Prodi, forse, ci sarà capitato casualmente di mezzo, ma resta il fatto che la decisione del Governo di bloccare il concorso per i direttori degli istituti rappresenta l’ennesimo atto d’ingerenza e, per questo, l’ennesimo colpo inferto all’autonomia della ricerca italiana. Con l’obiettivo, nemmeno troppo nascosto, di acquisire il tempo necessario per varare in tutta fretta una nuova riforma dell’ente e per portare sotto il controllo “politico” di questa maggioranza la ricerca italiana.

Il Governo, in tal modo, sta generando un duplice effetto perverso. Esso mette mano a una nuova riforma senza che la precedente sia ultimata, tradendo così un pregiudizio tutto ideologico. Per convincersene, basta leggere le osservazioni della Corte dei Conti in merito allo stato della ricerca in Italia laddove essa loda gli effetti della riforma del Governo Berlusconi in termini di efficienza e di risorse reperite sul “mercato” e, conseguentemente, scongiura di procedere a nuovi interventi, anche per i devastanti effetti che essi potrebbero avere sul terreno della finanza pubblica. Il secondo effetto, strettamente collegato al primo, è di garantire a una nomenklatura di riferimento, stanca e ormai distante da standard internazionali d’eccellenza, quel potere che si ritiene indebitamente esercitato negli anni precedenti dal governo di centrodestra, promuovendo così l’idea che la liberazione da Berlusconi passi per la restaurazione di vecchi privilegi d’immeritato potere.

Anche oltre l’incidente familiare, questa si presenta come una scelta di mera conservazione. Se ne stanno accorgendo per primi i tanti giovani talenti che affollano la dimensione precaria della ricerca. Per loro, innanzi tutto, il procedere per affinità ideologica e per condivisione di fini di controllo “politico” sta diventando insopportabile. Costretti spesso all’estero, sanno infatti molto bene che ricerca è concorrenza leale se vuole essere, come negli altri paesi, uno strumento di innovazione, attraverso il quale far crescere l’economia e progredire la società . La sinistra, forse, questo lo intuisce ma è costretta a ignorarlo. Perché i vizi antichi e l’abitudine all’egemonia sono più forti della volontà di mettersi in discussione.