L’ombra della scommessa

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L’ombra della scommessa

05 Agosto 2011

Prima di ritornare a casa, decisi di fare una piccola puntatina al bar di Giosuè. Era il fratello minore di Margherita ed era dal suo bar che passavo tutte le mettine a fare colazione.

Era la quintessenza del pettegolezzo: tutti i funzionari e tutte le persone che andavano a servirsi da lui gli rivelavano dettagliucci piccanti del loro ambiente di lavoro. Spesso anch’io gli dicevo qualcosa sull’università.

In quel caso non avevo intenzione di confidargli qualcosa o farmi confidare qualcosa, ma solo di stare un po’ tranquillo.

Nel suo locale, rivestito di legno e cuoio rosso, chiunque poteva ritrovare una parte di sé più lirica e serena: nelle vetrinette che sovrastavano i tavoli erano racchiusi vecchi volumi lisi e oggetti d’antiquariato – calamai, pennini, penne stilografiche, macchine da scrivere e occhiali – che collocavano l’atmosfera fuori dal tempo. Era come un incantesimo, reso possibile dal silenzio delle mura insonorizzate, dal tono di voce basso che tutti mantenevano, dalla bonomia di Giosuè.

Era uno spicchio di metafisica leggerezza, nel centro del caos cittadino, in cui tutto sembra lontano.

Giosuè era dietro al bancone e stava servendo una cioccolata calda a una signora con occhialoni satellitari. Quando mi vide entrare non mi chiese come mai non c’ero andato quella mattina: sicuramente aveva già saputo tutto dello sciopero.

«Mi fai un cappuccino?».

«Ma quando smetterai di preferire quella roba schiumosa da signorine a un virile espresso ristretto?».

«Mi piace il cappuccino, che devo farci? Senti un po’, hai qualche pettegolezzo da fare su quelli della Giunta?».

«Quante ne vuoi. Cose grosse: Bertocchi è indagato per pedofilia, la Masero è lesbica, quello zozzone di Olbi è finto in galera perché è un magnaccia».

«E di Calcagni che cosa mi dici?».

«È il migliore. Lo sai chi è?».

«Certo che lo so».

«E sai che gli è successo?».

«Si è suicidato».

«E come lo sai?».

«Ti scordi sempre che la mia coinquilina lavora al comune. Io voglio sapere che tipo era, come si comportava con la moglie, queste cose insomma».

«Era un gentiluomo. Nessuna donna che lo conosce può vantare delle avance da lui. O anche solo una semplice manata sul culo».

«Era un pezzo di ghiaccio».

«Proprio così. Una sua segretaria aveva scommesso con una sua amica che sarebbe riuscita a farsi mettere le mani addosso. Sai come sono queste cose: le solite scommesse da…» s’interruppe per evitare d’essere sentito dalla tizia con gli occhiali parabolici.

«E cosa è successo?».

«Niente. Lui l’ha respinta con molta delicatezza e le ha detto che era sposato. Me lo ha detto la ragazza stessa».

Il cappuccino era pronto. Lo portai alle labbra e lo bevvi a piccoli sorsi. Interessante: se era questo fedelissimo, come mai aveva una amante?

«Quanto tempo fa è successo?

«La settimana scorsa».

In quel momento valutai l’importanza di interrogare anche quella segretaria. Che cosa mi avrebbe potuto dire? Come si era svolta la dinamica dei fatti, in che termini era precisamente la scommessa, con chi l’aveva fatta. Ma in fin dei conti, poco m’interessava.

«Che ne sai di Massimiliano?».

«L’amico tuo? Poverino, ho saputo. Non so molto. Il teatro dove lavorava è lontano e io lo conoscevo meno di quanto non lo conoscessi tu. So solo che non aveva una ragazza, che spendeva come se fosse il principe ereditario del Brunei e che nessuno riusciva a spiegarsi come riuscisse a mantenere quello stile di vita col suo lavoro».

Ancora una volta “poverino”.

«Potrebbe forse darsi che avesse un’amante?».

«Certamente, ma io non ne so nulla».

«E non ti…».

«Anzi! Mi sono ricordato di una cosa. Prendila con le pinze: il direttore artistico del teatro dove lavorava mi ha detto di averlo visto parlare con Calcagni e che questo gli aveva passato una busta».

«È riuscito a vedere che cosa stesse dicendo?».

«No, ma qui viene il bello: ha letto le labbra dell’assessore. Ha capito solo “Ora no”, “Pericolo” e “Leggi questa”».

«Quando è successo?».

«Ieri».

E qui mi sbizzarrii con le fantasie: omicidio suicidio era quella più gettonata. L’assessore uccide Massimiliano e poi si toglie la vita, il giorno dopo avergli dato una busta. Ma cosa poteva contenere? Soldi? Ordini? Una lettera d’addio?

«In che rapporti era Max con Calcagni?».

«Facevano parte dello stesso circolo di amanti del teatro».

«Lo conosco».

Ci dovevo fare un salto prima o poi.

Rincasai. Lo Specializzando si era appena svegliato e stava guardando la televisione. Erano le sette meno un quarto e se ne doveva andare esattamente un’ora dopo per arrivare alle otto in clinica per prendere servizio. Il modo in cui vengono vessati gli specializzandi ricorda vagamente le torture fisiche e psicologiche della CIA.

Ci facemmo due chiacchiere e poi me ne andai in camera mia.

(Fine capitolo 5)