Londra saluta la Thatcher che mai avrebbe scelto le “larghe intese”

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Londra saluta la Thatcher che mai avrebbe scelto le “larghe intese”

18 Aprile 2013

Mentre il Regno Unito si appresta, tra la commozione e vecchi rancori, a seppellire l’ultima rivoluzionaria del novecento, in Italia molti liberali si interrogano sul decennio thatcheriano, sui successi (indubbi) di una politica tanto dirompente quanto discussa.

Qualcuno forse fatica a ricordare che, sul finire degli anni settanta, l’Inghilterra era il vero malato d’Europa, un paese vecchio e improduttivo, che ancora sonnecchiava, malinconico, sugli albori del glorioso passato imperiale: faticava a riprendersi e a riconoscersi sul solo palcoscenico europeo, avendo abbandonato quello mondiale. La crisi economica, l’inflazione, gli scioperi e governi deboli stavano consegnando il Regno Unito al ruolo che già nell’ottocento era stato della Spagna: ex potenza mondiale ormai ai margini della politica che conta. Era questo lo stato delle cose quando Margaret Thatcher, dopo aver vinto delle elezioni incertissime, divenne Primo ministro. Nulla avrebbe fatto presagire che, dì lì a poco, quel paese si sarebbe riaffacciato da grande protagonista grazie a riforme certo drammatiche e impopolari ma straordinariamente efficaci. In pochi anni, con una rivoluzionaria politica fiscale e monetaria, privatizzazioni e dismissioni del patrimonio pubblico riuscì a resuscitare quel grande malato. La Thatcher, invece che investire ancora di più sul settore pubblico per non alienarsi i consensi decise piuttosto di cambiare rotta: lo riteneva giusto, a costo di decine di migliaia di esuberi. Seguirono una serie di prese di posizioni durissime verso i sindacati e i lavoratori in sciopero ad oltranza. Ad un certo punto, la Thatcher, sembrava essere (e lo fu) sola contro un Paese intero.Una politica che in Italia, dove il contingente è sempre più importante del lungo periodo, sarebbe stata (ed è tutt’oggi) impensabile.

Cosa rimane della sua eredità? Nel Regno Unito moltissimo. La lunga esperienza laburista di Blair prima e Brown dopo si è guardata bene dal toccare quell’impianto di riforme che, pur a costi altissimi dal punto di vista sociale, ha contribuito a risollevare il Paese. All’indomani della morte della Thatcher alcuni esponenti politici hanno sottolineato come, l’attuale crisi finanziaria, sia una diretta discendente della Lady di ferro. Forse, a metà, questo discorso possiamo condividerlo. Ha fallito il modello annacquato di liberismo thatcheriano: per capirci, quel modello che Bettino Craxi e i governi di centrosinistra degli anni ’90 avevano tentato di reinventare per un Paese come il nostro, allergico a riforme travolgenti e drammatiche. Questi analisti infatti, omettono o fanno finta di non accorgersi che, laddove il modello thatcheriano ha funzionato ed è stato confermato negli anni, gli effetti della crisi siano stati di minore impatto. Del perché, la Gran Bretagna, sia uscita immediatamente da questa congiuntura, i grandi critici della Thatcher, non ci danno spiegazioni. Eppure dovrebbe essere lampante. Non è questa la sede per ricadere nell’eterno dibattito tra keynesiani e hayekiani ma di certo, se proprio il Paese madre di un certo modello di economia e finanza è riuscito meglio d’altri a far fronte alla crisi, un motivo ci sarà.

L’Italia, ancora una volta, può interrogarsi sull’ennesima occasione perduta. Nessuno, checché se ne dica, ha mai tentato seriamente di avvicinarsi a quel modello che la storia recente ci ha confermato essere vincente. Il centrodestra italiano, specialmente, che si dice erede diretto di quel pensiero politico ed economico, non solo non è riuscito ma non ha neanche seriamente tentato di avvicinarsi alla politica thatcheriana che pure rappresenta un faro delle loro proposte politiche. Certo, certe riforme costano, anche in termini di consenso elettorale. Questo lo sapeva anche la Thatcher che però, le elezioni, le ha vinte tre volte consecutivamente. Meglio perdere un voto domani ma acquistarne due dopodomani, era il suo pensiero. Una filosofia,  che, lo dimostrano i fatti, in Italia è poco apprezzata. E i ventennali rinvii non aiutano certo il nostro Paese ad uscire dalla crisi che sconta un ritardo gravissimo. Insomma, quella rivoluzione conservatrice, in Italia, non solo non è mai nata ma nessuno ci ha provato seriamente a farla nascere. Non è mai troppo tardi, certo; ma per cominciare bisognerebbe mettere via i sondaggi e procedere spediti per la propria idea, senza condizionamenti. Riusciranno i nostri eroi?