L’opa di Salvini sul centrodestra

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L’opa di Salvini sul centrodestra

24 Marzo 2018

Ore e nottate frenetiche, veti e controveti, una rottura nel centrodestra prima annunciata e poi ricucita in extremis, e alla fine l’elezione dei due presidenti delle camere: Elisabetta Alberti Casellati al Senato e Roberto Fico alla Camera. Forzista di lungo corso la prima e pentastellato della prima ora il secondo. L’accordo tra centrodestra e M5S ha retto. Ma, cronaca parlamentare a parte, un dato ormai è evidente: nel centrodestra i rapporti di forza sono cambiati, e non solo dal punto di vista del consenso elettorale, ma da quello politico. Nella partita per le presidenze delle Camere ha vinto la Lega, e Salvini ha voluto che la vittoria fosse visibile. Chi ne esce sconfitto è proprio Silvio Berlusconi, chiuso in angolo dall’accordo tra Salvini e Di Maio. Tanto che, come si legge sulla stampa, Romani e Brunetta, i due capigruppo azzurri, parlano di “resa su tutta la linea”. 

Il leader leghista ha bruciato nel giro di poche ore il candidato ufficiale dell’ex premier, Paolo Romani, facendo finta di virare sulla Bernini, più gradita al partner pentastellato, dopo aver avvisato Berlusconi solamente all’ultimo istante (e compromettendo di fatto anche la candidatura della senatrice Fi), per costringerlo a ripiegare su un terzo nome, quello della neo presidente Casellati. Siamo di fronte allo scenario tipico del primo vero gioco di forza di matrice leghista ai danni del leader azzurro. 

Per Salvini la vera posta in palio è conquistare pienamente la leadership del centrodestra, cercando di svuotare il più possibile il serbatoio forzista. Anche per questo, le possibilità di avere un governo M5S-Lega, in realtà, sembrano (il condizionale è sempre d’obbligo) davvero scarse. E non tanto per assenza di convergenze tematiche, dove leghisti e pentastallati, anzi, potrebbero trovare punti di incontro tanto interessanti da moderare l’uno le punte estreme dell’altro. Tanto per capirci: si abolisce la legge Fornero ma in virtù dell’alleanza con i cinquestelle questa operazione avviene solo in parte; reddito di cittadinanza? Sì, ma in virtù dell’accordo con la Lega si fa ma con qualche passo indietro; sui diritti civili tutto ok, dato che il servizio completo l’ha già fatto il Pd nella passata legislatura (e i risultati sono evidenti) e dato che Salvini ha già affermato che non ha intenzione di tornare indietro. E la lista delle possibili convergenze potrebbe continuare sull’immigrazione, il giustizialismo, le scelte anti-casta, la volontà di superare i paletti europei, e così via.

Tutto questo per dire che l’ostacolo verso un possibile governo giallo-verde, non riguarda i contenuti e le proposte, bensì una questione di leadership: ora come ora né Di Maio né tantomeno Salvini sono disposti a fare passi indietro e ridursi a fare il junior partner dell’altro. Se vogliamo è anche una questione di immagine: in questo momento nessuno dei due vuole offuscare la propria stella.

Detto ciò, è ancora più chiaro come l’obiettivo salviniano numero uno per questa legislatura, che difficilmente durerà a lungo, non sia tanto quello di andare al governo, quanto affermarsi come l’uomo forte, il leader vero e proprio del centrodestra. Tutto questo, ovviamente, affossando sempre più (per come è possibile) la leadership berlusconiana e riducendo Forza Italia (ma anche il partito della Meloni) ad un satellite.

Insomma, il punto è invertire gli storici rapporti di forza interni al centrodestra, così come sono stati fino al 4 marzo. Un tendenza che, stando anche ai numeri della Lega in Parlamento, per i forzisti sembra difficile da arrestare. Salvini sa di essere ora in una posizione di forza. Della serie: senza la Lega non si va da nessuna parte. E dopo le mosse di questi giorni abbiamo capito che è pronto a giocare la sua partita fino in fondo.