L’opposizione si riunisce in Turchia ma Assad resta al potere
18 Luglio 2011
Sono passati circa 4 mesi da quando sono scoppiate le rivolte in Siria. Le principali città, come Damasco, Hama, Dar’a,si sono riempite di manifestanti e di morti che giorno per giorno hanno insanguinato le strade del Paese. La popolazione, che protesta per ottenere maggiori diritti e allentare la morsa del regime di Bashar al Assad, non sembra per il momento arrendersi.
Nelle prime settimane di protesta i media siriani avevano sparso la voce di un forte coinvolgimento dei movimenti islamici e di al Qaeda nei disordini in atto nel Paese, ma dopo tutto questo tempo risulta abbastanza chiaro che sebbene il coinvolgimento dei movimenti islamisti non si possa escludere totalmente non sembra essere di per sé la causa determinante delle proteste. Facile capire che la presenza delle forze islamiche voleva essere uno scudo per giustificare, almeno inizialmente, la violenza della soppressione del dissenso.
La verità è che il malcontento è diffuso in tutto il Paese, e sono in molti ad avere più di un motivo per protestare. Le forze di polizia fedeli al governo continuano ad usare la violenza e ad uccidere centinaia di manifestanti. Pare che le vittime registrate dall’inizio degli scontri fino ad oggi siano circa 1.400.
Nonostante l’iniziale atteggiamento conciliatore di al Assad, che diceva di voler concedere le riforme che stavano più a cuore alla gente, al momento non sembra che sia stato fatto concretamente alcun passo in avanti.
La stessa Hilary Clinton si è espressa in termini molto duri chiarendo che, almeno per gli Usa, il presidente siriano Bashar al-Assad "ha perso la sua legittimità". Dopo le violente proteste davanti alle ambasciate francese e statunitense a Damasco, registrate all’inizio della scorsa settimana, il segretario di Stato americano ha reagito senza mezzi termini e reclamando l’uscita di scena di Assad, reo anche di aver accettato l’aiuto dell’Iran per reprimere il suo popolo. L’assalto alle ambasciate che ha causato la reazione della Clinton, pare sia stato opera di un gruppo di sostenitori del presidente siriano.
A scatenare le ire dei lealisti, è stata la partecipazione degli ambasciatori dei due Paesi, Robert Ford e Eric Chevallier, alle manifestazioni anti-governative organizzate ad Hama. Durante il tentativo di irruzione tre agenti della sede diplomatica francese sono rimasti feriti. Nel respingere i sostenitori di Assad le guardie hanno sparato dei colpi a scopo intimidatorio. Gli Stati Uniti hanno puntato il dito contro il governo siriano per la ‘‘risposta lenta’‘ delle forze di sicurezza a protezione dell’ambasciata.
La situazione dunque rimane molto tesa.
A dimostrarlo, anche la grande manifestazione tenutasi venerdì scorso, che pare sia la più imponente da quando sono iniziate le proteste. Si parla di un milione di persone riverse nelle strade contro il regime. Le concentrazioni più massicce si sarebbero verificate a Hama, nella Siria settentrionale, e Deir Ezzor, nell’est. I manifestanti hanno affollato anche le periferie di Damasco, dove si è verificata la repressione più dura: 9 morti nella capitale, secondo fonti dell’opposizione. Almeno otto persone sarebbero rimaste uccise in altre località del Paese.
Attualmente, è in corso ad Istambul una conferenza che riunisce trecentocinquanta persone in rappresentanza dei movimenti tradizionali di opposizione (esuli compresi) per provare a trovare una soluzione al problema siriano. Il congresso delle opposizioni mira a creare una sorta di governo ombra, ma anche a trovare un accordo sulle strategie per abbattere il governo e una “road map” per il dopo-Assad. Il problema principale almeno per il momento resta comunque quello della violenza delle azioni di repressione, che però non sembrano aver indebolito il sentimento che anima dal profondo i cuori dei migliaia di manifestanti che scendono nella piazze e nelle strade da 4 mesi, decisi a far sentire la loro voce.