Lotta alla dittatura dei desideri e rancori personali oltre la cronaca del caso Weinstein

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Lotta alla dittatura dei desideri e rancori personali oltre la cronaca del caso Weinstein

16 Novembre 2017

La dittatura dei desideri e i desideri di Harvey Weinstein. “There will be needed complicated and prolonged conversations between young men and women about what constitutes consensus”. Noami Alderman sul  New York Times del  7 novembre scrive che le conseguenze del caso Weinstein richiederanno una lunga e complicata discussione tra giovani donne e giovani uomini su che cosa costituisce “il consenso” necessario per compiere un atto sessuale condiviso. Una intelligente filosofa attenta osservatrice dell’evoluzione dei costumi, Michela Marzano, scrive sulla Repubblica del 10 novembre che “C’è anche chi dice che, ormai non sarà più possibile evitare che si scateni una vera e propria guerra dei sessi”. L’improvvisa accelerazione del rigetto (che in sé non può non essere benedetto) di forme consolidate di prevaricazione di maschi su femmine, partita negli ambienti del cinema (il termine “casting couch”, la tradizione di imporre a tante attrici favori sessuali in cambio di aiuti alla carriera, nasce con la storia stessa del cinema all’inizio del Novecento), si è allargata a altri campi, dalla politica alle imprese, e si tratta di capire se siamo di fronte a una fiammata o un altro profondo movimento della storia che finirà per ridefinire a fondo il nostro modo di vivere. Non è solo malizia notare come lo scandalo abbia colpito il cuore di un certo establishment liberal che, tra l’altro, nel sostegno alla causa della liberazione femminile aveva uno dei suoi centri e che era stato a lungo protetto.

Yet let us not forget the sex crimes of which the younger, stronger Bill Clinton was very credibly accused in the 1990s. Juanita Broaddrick reported that when she was a volunteer on one of his gubernatorial campaigns, she had arranged to meet him in a hotel coffee shop. At the last minute, he had changed the location to her room in the hotel, where she says he very violently raped her. She said she fought against Clinton throughout a rape that left her bloodied. At a different Arkansas hotel, he caught sight of a minor state employee named Paula Jones, and, Jones says, he sent a couple of state troopers to invite her to his suite, where he exposed his penis to her and told her to kiss it. Kathleen Willey said that she met him in the Oval Office for personal and professional advice and that he groped her, rubbed his erect penis on her, and pushed her hand to his crotch”. Non dimentichiamoci degli abusi sessuali di Bill Clinton sia da più giovane governatore sia alla Casa Bianca, su cui poi le femministe hanno chiuso gli occhi, scrive Caitlin Flanagan su The Atlantic  del 13 novembre. Oggi va notato invece come il giornalista che ha fatto saltare le polveri del caso Weinstein sia Ronan Farrow, il che ci porta direttamente a uno dei protagonisti del progressismo americano, Woody Allen: è nell’odio verso Woody alimentato dalla mamma ed ex convivente di Allen, Mia, che Ronan ha trovato tutta l’energia per completare la sua indagine superando gli intralci che gli aveva frapposto anche la testata per cui lavorava, un altro Tempio dei liberal Us, il New Yorker. E successivamente altre stelle di questo mondo liberal sono state colpite: da Dustin Hoffman all’avvocato del New York Times David Boies (“perhaps the leading litigator of his days. He has fiought in court for causes as near and dear to liberal hearts as the same-sex marriage and the presidential campaign of democrat Al Gore” a suo tempo forse l’avvocato più importante che si è speso nella causa per il matrimonio gay e per sostenere la campagna presidenziale di Al Gore, scrive Gary Silverman sul Financial Times dell’11 novembre). Chissà, poi, se Alec Baldwin ha indossato la parrucca bionda con cui imitava/insultava Donald Trump nel Saturday Night Live show anche per passati comportamenti talvolta rozzamente maschilisti verso le donne dell’attuale presidente americano, quando ha dovuto fare una pre-autocrtica per evitare colpi bassi successivi. “From time to time, I’ve done what a lot of men do, which is when you don’t treat women the same way you treat men”: di tempo in tempo ho fatto quel che fanno molti uomini, non ho trattato le donne nello stesso modo in cui ho trattato gli uomini”. Così il Daily Telegraph del 3 novembre riferisce una frase di Baldwin. L’attore, in seguito, ha fatto anche a sportellate con l’eroina del momento.

Il litigio è scoppiato quando Asia, una delle donne che per prima ha accusato Weinstein di violenza sessuale, ha dato a Baldwin del ‘completo idiota’: ‘Altrimenti stai proteggendo i tuoi amici e salvando la tua reputazione. Forse tutte e tre le cose?Una frecciata a cui Baldwin ha risposto, dicendo: ‘I casi sono due: se dipingi tutti gli uomini con lo stesso colore, o finisci il colore o finisci gli uomini’”. Così Chiara Maffioletti sul Corriere della Sera del 5 novembre. Anche il santuario dell’amore “diverso” che appariva un’oasi rispetto alle tradizionali prevaricazioni maschili, è stato bombardato con la drammatica messa sotto accusa di Kevin Spacey. In una situazione in cui cronaca, pettegolezzi, lotte per il potere su affari giganteschi, rancori vari con annesse prospettive di carriera si intrecciano a reali processi, in corso nella società, di affermazione della dignità delle donne, forse val la pena di osservare come un certo mondo liberal sia finito sotto attacco anche perché predicando l’assoluta supremazia dei desideri su quelle che si possono chiamare le convenzioni e altri definiscono la morale naturale (centralità del matrimonio, della vita, dei figli, dell’educazione di questi e subordinazione del sesso all’amore) ha permesso che si creassero nuovi mostri o almeno si rafforzassero quelli già esistenti. Come ricordava bene la Marzano siamo di fronte a complesse questioni che riguardano le nostre caratteristiche antropologiche fondamentali, nel procedere senza indugi per affermare la totale difesa della dignità femminile dovunque e comune, si dovrebbe badare anche a non disgregare equilibri che tengono in piedi nei modi possibili la nostra civiltà, anche perché le civiltà di riserva che coesistono con la nostra, siano islamiche o confuciane, non sono certo più rispettose verso il genere femminile di quella “pur ben ben evoluta” e  che “ancora deve evolvere” (ma sulla base delle proprie radici) greco-giudaico-cristiana.

Terribili i crimini di Stalin ma alcune fesserie integrali se le risparmiava. “La fece Stalin negli anni ’30, più modestamente la si può fare oggi”. Goffredo Bettini sulla Repubblica del 10 novembre ricorda come l’unità delle sinistre si faceva già negli anni ’30 con i fronti popolari. Siccome sono tempi duri e un titolo un po’ paraculo di Vittorio Feltri viene preso come un’istigazione all’omicidio, è bene precisare che Bettini scherza: il consolidato boss del comunismo e del postcomunismo romano non è, anche per età, uno stalinista, ed è comunque assolutamente lontano dalla ferocia del dittatore sovietico. Va osservato, però,  di converso, che il piccolo padre del Cremlino, che non si risparmiò innumerevoli crudeltà, una fesseria integrale come indicare Ignazio Marino sindaco di Roma, non l’avrebbe mai fatta.

Il nostro Saint Just alla bagna cauda dimostra che, nonostante la sua triste arietta, non porta male. “Scampato a 14 procedimenti penali (una bella media per un tipo di 40 anni, decisamente precoce) ma non al quindicesimo che l’aveva portato in carcere e a processo (in corso) per concussione e abuso”. Marco Travaglio sul Fatto del 9 novembre si esibisce così in uno dei suoi abituali elogi alla forca dedicato questa volta al consigliere regionale Cateno De Luca, arrestato appena eletto per evasione e truffa fiscale. Non contento di imputargli 14 procedimenti penali da cui è stato assolto (ma oltre la “pertinacia penale” c’è anche una pertinacia inquisitiva? E non c’è un concorso esterno a quest’ultima forma di pertinacia da parte dei giornalisti che considerano un’assoluzione una colpa?) il nostro Saint Just alla bagna cauda prevedeva il 9 novembre la prossima condanna del De Luca per l’ennesimo processo che si concludeva il giorno dopo. La profezia però si è rivelata sbagliata (maledetti pm/amichetti che si sentono così sicuri da mandare fuori strada quei loro leali servitori che sono i giornalisti a disposizione), De Luca è stato nuovamente assolto. Peccato per il nostro manettaro che però può trarre una conseguenza positiva dalla vicenda: almeno ha dimostrato di non portare male.

Ambiente, quel mascalzone di Trump e i santi subito cinesi. “But can China really be in the ‘driving seat’ when it is burning so much coal that its carbon emissions are forecast to rise this year?”. Somini Segupta scrive sul New York Times del 14 novembre chiedendosi se si possa affidare una leadership alla Cina sulle questioni ambientali  quando si prevede che le sue emissioni da carbone aumenteranno quest’anno? Mentre James Kynge sul Financial Times del 15 novembre scrive che “China’s top climate official said on tuesday that preparation for a nation emissions trading scheme were “basically complet” but he stopped short of living and warned of the dangers of ‘excessive investment’”. ll massimo responsabile cinese sulle questioni ambientali dice che stanno preparando uno schema nazionale sulle emissioni, che è ormai quasi completato ma i costi di investimento per implementarlo sono molto alti. Naturalmente Trump è il diavolo. Però, certo, qualche volta pensare che affidandosi ad accordi multilaterali si dà mano libera a chi non si sente vincolato dalle regole e si impaccia invece, magari senza adeguati criteri tecnico-scientifici e controlli, chi è impegnato a rispettare sempre le regole deliberate. A proposito del “mostro” Trump una piccole notizia giornalistica che affidiamo all’intelligenza di chi legge. “German Chancellor Angela Merkel, a veteran of global efforts to curb climate change, disappointed environmental campaigners Wednesday by refusing to lay down a deadline for ending her country’s use of coal”. Frank Jordans dell’Associated Press il 15 novembre scrive che la Merkel,  pur veterana della lotta per contrastare i cambiamenti climatici, mercoledì ha scontentato i militanti ecologisti rifiutandosi di fissare una data precisa per la fine dell’uso del carbone in Germania.