“Love Parade”, se il grande mito degli anni Novanta finisce nel sangue

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“Love Parade”, se il grande mito degli anni Novanta finisce nel sangue

26 Luglio 2010

Diciannove morti per schiacciamento, tra cui una ragazza italiana di soli 21 anni. Trecentoquaranta il numero dei feriti. Eppure lo spirito della “Love Parade”, che a Duisburg, in Germania, si è trasformata in tragedia, non doveva essere questo. La descrivevano come una festa di musica e libertà, qualcuno dice anche troppa. Invece è stata una terribile mattanza, favorita dalle colpevoli falle nell’organizzazione dell’evento. Non è stato un sacrificio umano, complice la tecno, ma il frutto dell’impreparazione delle autorità locali – Duisburg, una piccola città, non era in grado di assorbire una tale massa fi gente in una volta sola – ma soprattutto della debosciata filosofia che animava gli organizzatori: “Lo spazio scelto sembrava ideale per celebrare l’annullamento dei sensi, lasciar prendere vita e farsi guidare dalla musica, nessuno avrebbe immaginato una tragedia simile”, afferma uno di loro, che a quanto pare non deve aver ancora percepito la gravità della situazione in cui si trova. La magistratura ha già aperto un’inchiesta sull’ente organizzatore che – sotto il cappllo della "Capitale Europea della Cultura" 2010 "ha fatto pressioni sulle autorità per avere il permesso di svolgere la manifestazione", dice uno degli ufficiali del sindacato di polizia del Nordreno-Vestfalia.

Tutto accade improvvisamente, e ancora misteriosamente, quando la massa di giovani che si sono riuniti all’insegna del divertimento s’incammina verso l’area del raduno, un’ex acciaieria dismessa a metà degli anni ’80, ora parco pubblico. Il luogo della tragedia è l’ingresso principale di un tunnel troppo stretto (20 metri) e troppo lungo (200) per permettere l’accesso ordinato a più di un milione di persone, secondo le cifre fornite dagli organizzatori. La polizia però ha ridimensionato il numero dei partecipanti, parlando un centinaio di migliaia di persone. Ma il problema non sono solo i numeri. Nel tunnel non c’era alcuna via di fuga, e l’area circostante era completamente transennata, ed è questo ad aver moltiplicato il disastro. “Se davvero pensano di far sfilare lì la gente per farla accedere sullo spiazzo all’aperto è la fine, è tragedia garantita”, avvertivano nei giorni scorsi alcuni critici su YouTube. “L’organizzazione è stata una gran porcata”, hanno protestato in molti durante la parata, “E’ stato un caos programmato”. Un giovane di Duisburg si è scusato ai microfoni di una tv: “Sono orgoglioso di essere di Duisburg ma quel che è successo è stata una vergogna”.

Alle origini della Love Parade c’è la Berlino di fine anni Ottanta. E’ il primo luglio del 1989 per l’esattezza, quattro mesi prima della caduta del Muro di Berlino. L’evento acquista da subito una grossa carica di detonatore sociale. Le nuove generazioni, dopo l’impegno e la partecipazione politica degli anni settanta e dei primi anni ottanta, sembrano preferire il disimpegno e lo sballo a tutto volume, se pur ammantato di pace e fratellanza internazionale. La prima edizione viene organizzata dalla neonata "Berlin Underground" per iniziativa del dj Matthias Roeingh, il "Dr. Motte", che riunisce circa 150 persone, quella volta senza incidenti. Ma il disastro di Duisburg e le pesanti accuse che adesso piovono da ogni parte sull’organizzazione, rischiano di mandare in pensione la Love Parade. I responsabili, almeno quelli a cui è rimasta la testa sulle spalle, annunciano che la festa è finita: “Non ci sono parole sufficienti a descrivere il nostro shock”, dichiara il “boss” Rainer Schaller. Un suo collega, Fritz Pleitgen, dice di sentirsi “chiaramente responsabile in modo congiunto, ma più in senso morale”. Qualcuno dovrà pagare senza dubbio, la magistratura ha ventilato l’ipotesi di "reati" anche se non p ancora chiaro quali. Testimoni raccontano di un clima surreale man mano che la notizia si è diffusa durante il concerto. Sembra che gli organizzatori abbiano chiesto ai dj di andare avanti con la musica, una volta saputo quello che stava succedendo. Per evitare, suggerisce il dj Mark Knight alla Bbc, che altre ondate di panico potessero travolgere i giovani ignari dell’incidente: “Moltissime persone hanno continuato ad essere completamente all’oscuro di cos’era accaduto”. L’evento che per vent’anni è stato una delle più controverse forme di espressione di una parte delle nuove generazioni, insomma, prosegue per cinque ore fuori dalla realtà, in questo ovattato mondo dove ci si dimentica anche dei morti. Ora che è tutto finito, cala il sipario sulla kermesse della tecno. Ma per chi è rimasto vivo e per i familiari delle vittime non sarà facile dimenticare.