Luci e ombre del successo elettorale

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Luci e ombre del successo elettorale

15 Maggio 2007

Il
risultato elettorale registrato ieri in Sicilia è ancora una volta
soddisfacente: la regione si riconferma feudo tra i più fedeli alla coalizione
di centrodestra, e può davvero segnare la ripartenza anche sul piano nazionale.
Ma c’è più di qualche nota stonata in questa sinfonia di vittoria. Se guardiamo
bene le cifre complessive, notiamo un leggero decremento dei voti a favore
della Cdl. L’elettorato siciliano è conservatore per costituzione e piuttosto
che votare a sinistra preferisce sempre, in caso di malcontento, disertare le
urne. Questa volta invece i voti mancati allo schieramento di centrodestra sono
andati in buona parte alle sinistre. L’afflusso alle urne è stato relativamente
alto, in media poco più del 72%: questo significa che la scelta dell’astensione
è stata sostituita da un più energico (quantomeno nelle intenzioni, se non
nelle proporzioni) voto di protesta, indirizzato verso lo schieramento
opposto.  Emblematico per singolarità è
il caso di Agrigento: cinque anni fa la Cdl aveva imposto il proprio sindaco
con il 75%, adesso è costretta al ballottaggio non riuscendo a superare il 45%.
Se a ciò si aggiunge che Agrigento è il comune con la più alta affluenza alle
urne (76%) il ragionamento trova conferma. Le stesse elezioni regionali di quest’estate
avevano dimostrato che la vittoria di Cuffaro era arrivata con qualche voto in
meno all’appello.

Come si
spiegano queste flessioni? “La Sicilia”, ha affermato Berlusconi commentando i
risultati, “si conferma ancora una volta la Lombardia del sud”: se questo è
vero quanto al colore politico, non si può dire lo stesso della classe
politico-amministrativa, che non riesce a rinnovarsi e vive una fase di forte
stagnamento. Quando non c’è alternanza al governo può succedere che chi detiene
le leve del potere non sia spinto a migliorarsi. Sapendo che a priori avrà il
consenso e non sentendosi a rischio per una eventuale sconfitta, sarà meno
spronato nell’attuare il programma di governo. È proprio il caso della regione
in questione, che in questi ultimi anni si è ulteriormente impoverita.

A ciò si
aggiungano l’elefantiasi di assunzioni nel settore pubblico e una lunga
stagione di scandali, non ultimo l’assunzione di 110 autisti di autobus senza
patente in quel di Palermo. O ancora lo scandalo riguardante la guardia
forestale locale: nonostante la Sicilia sia la seconda regione per incendi,
sono state promosse poco prima delle elezioni ben 1800 guardie e preparato una
bando per rioccupare i posti lasciati liberi. Tornando al confronto con la
Lombardia un articolo di Lucia Esposito su Libero riporta dati interessanti.
Mentre nella regione del nord c’è un dirigente ogni ogni sessanta dipendenti in
Sicilia sono uno ogni sei, con stipendi da record: centosessantadue milioni di
euro complessivi, contro i diciannove milioni di euro dei dirigenti lombardi.

In queste
critiche non c’è, naturalmente, il minimo auspicio di un governo delle sinistre
sicule, anzi. Però è bene che i politici diano una corretta valutazione alle
proporzioni di questa vittoria e ne traggano le dovute conseguenze per evitare
il moltiplicarsi su larga scala di “casi Agrigento”. La città dei templi
protesta per ragioni molto semplici: è tra le province più povere d’Italia, una
delle città che più di tutte soffre della crisi idrica. È, insomma, una
questione di prudenza. Occorre che il centrodestra siciliano, in mancanza di
stimoli esterni, sappia ritrovare le proprie energie dall’interno, tornando ad
un’etica del buon governo che sembra aver perso lo smalto tra i politici
siciliani. Questo non necessariamente corrisponde ad un ricambio di persone, nè
può bastare uno morale: dare il giusto significato ad ogni singola scheda
elettorale, percepire da ognuna di essa il peso delle proprie responsabilità.
Per non invidiare più chi gode di politici del calibro di Formigoni.