L’Ue non può più permettersi una nuova apertura verso i paesi dell’Est
12 Dicembre 2012
Di recente, a Bruxelles, si sono rafforzate le voci su nuovo futuro allargamento dell’Unione Europea verso i paesi dell’Est. Come ben sappiamo la Croazia è già ammessa e nel 2013 diventerà uno stato membro. Inoltre, ci sono svariati stati candidati come la Turchia dal 2009, la Macedonia (FYROM) dal 2005, il Montenegro dal 2008, l’Islanda dal 2010, la Serbia dal 2012, che sono in fase di negoziati per l’adesione e ogni paese ha un percorso personalizzato da rispettare prima di poter diventare uno stato membro.
A seguire, c’è la lista dei paesi aspiranti tra cui l’Albania, la Bosnia-Herzegovina, e il Kosovo con il suo status "zombi" che limita ulteriormente le proprie possibilità. E come potremmo dimenticare l’Ucraina e la Georgia che hanno ambizioni di poter avere un giorno molto lontano la possibilità di aderire.
Come vediamo, dalla lista dei candidati e degli aspiranti, notiamo che si parla di paesi estremamente difficili (l’Islanda esclusa). Cioè parliamo di stati che non hanno ancora portato a termine la propria democratizzazione e che hanno numerose falle nella loro politica interna. Ovviamente, bisogna riconoscere che anche con gli allargamenti precedenti del 2004 e del 2007, l’Europa Unita ha commesso numerosi errori di valutazione e ha deliberatamente optato di ignorare alcuni principali requisiti per l’adesione per avvantaggiare un processo già avviato, aprendo così le porte ai paesi non ancora pronti a far parte dell’Ue.
L’Unione Europea dei 15 era una struttura più o meno omogenea e coesa ma la cosa più importante è che tutti i 15 stati membri avevano solide garanzie di continuità democratica e avevano le istituzioni rafforzate nel tempo (tranne la Grecia) che garantivano la sopravvivenza del proprio sistema nel futuro, in quanto, provvisti di tutti i necessari meccanismi di garanzia.
Con l’allargamento del 2004 e soprattutto del 2007 questi equilibri politici sono pressoché scomparsi, in parte a causa dei problemi strutturali che buona parte dei nuovi paesi membri avevano all’interno delle loro governance. La cosa negativa è la successiva mutazione dell’identità politica del Europa Unita che divenne una specie di "ospedale per i paesi malati" cioè di quei paesi quasi-democratici. L’unione Europea racchiudeva in sè un percorso di decenni di sviluppo democratico, sviluppo economico e sviluppo culturale e perciò uniformava fortemente i valori, gli ideali e i modi di collaborazione politica tra i propri membri.
Nell’Europa dei 27 c’è un forte dislivello di qualità nella democrazia tra i paesi nuovi e i vecchi. I paesi che solo quindici anni prima dell’adesione all’Ue, hanno avuto una governance opposta alla nostra (dittature e/o comunismo), non hanno avuto abbastanza tempo per potersi preparare a dovere e per riuscire a crescere democraticamente toccando il "punto di non ritorno". Molti di questi stati non hanno ancora i livelli di democrazia tali da poter essere in totale sintonia con la vecchia Europa o ad essere considerati alla pari dai propri partner (che possono essere i potenti paesi fondatori o altri vecchi membri dell’Unione).
Proprio questo, è uno dei motivi per cui nell’attuale Ue a 27, esistono capo branchi e gregari. Tale posizione di inferiorità non è una cosa positiva neanche per "i nuovi arrivati" che dopo decenni di regime comunista e del diktat dell’URSS, avevano cominciato a ritrovare il sapore dell’indipendenza e della sovranità. Oggi tutti loro si ritrovano nuovamente in forte disaggio e si scoprono di essere diventati dei semplici gregari di qualche superpotenza Europea; principalmente di quella germanica senza scrupoli, che sfrutta l’inevitabile accondiscendenza di questi paesi outsider per rafforzare ulteriormente la propria posizione di quasi-dominio sulla scena politica Europea. Inutile dire che tale struttura politica non giova molto all’immagine dell’Europa.
Tornando sul tema dei nuovi paesi membri, è innegabile che l’assenza di esperienza nel campo democratico e il mancato radicamento di questi valori all’interno delle istituzioni di stato non garantisca loro continuità di tale modello politico. Questo vuol dire che i suddetti stati sono ancora abbastanza vulnerabili di fronte ad eventuali attacchi/attentati alla democrazia. Lo stesso dicasi su altri paesi sopracitati che ancora membri non sono, ma sono i prossimi a diventare tali. Tutto ciò, non si estende ovviamente sull’Islanda, che ha una lunga esperienza di vita democratica e si qualifica a pieni voti per il "membership".
Ritengo, che dopo questo errore di calcolo da parte dell’Ue, bisognerebbe fermare per un po’ la politica di allargamento e bisognerebbe cercare di correggere prima i problemi creatisi dopo il 2007. Visto che i suddetti paesi sono già membri, siamo costretti a trovare il sistema di aiutarli a muoversi verso gli indispensabili standard interni. Sono numerose le misure che non riescono ancora a rispettare.
Ad esempio, i paesi baltici hanno dei seri problemi e subiscono frequenti critiche nel campo dei diritti, visto che lo stato arbitrariamente nega la cittadinanza e i diritti che ne conseguono ai propri cittadini, se di etnia russa. O addirittura, chiedono loro di naturalizzarsi da capo. Oggigiorno, sembra che qualcosa si stia muovendo verso una soluzione dei suddetti problemi, anche se nell’anno della propria adesione (2004), queste violazioni non erano ancora risolte. Esistono seri problemi politici anche in Ungheria, in cui il comportamento del governo è decisamente fuori dai modelli democratici. Inoltre, il comportamento dell’Ungheria nei confronti dei propri vicini desta un ulteriore preoccupazione, in quanto, Budapest sta intervenendo ancora attivamente nelle regioni di etnia ungherese situate in Slovakia, Serbia, Romania ecc. causando così la rabbia del suo intero vicinato.
Le grandi difficoltà della Romania e della Bulgaria "di naturalizzarsi" sono un altro problema per Bruxelles. Qui la strada per la democratizzazione è ancora lunga e la corruzione dilagante nella pubblica amministrazione sta distruggendo la credibilità di questi paesi. Per esempio, affidare a questi stati il controllo delle nostre frontiere comuni, nell’eventualità che Sofia e Bucarest aderiscano anche al trattato di Schengen, è estremamente preoccupante se non pericoloso per la sicurezza dell’Ue.
Insomma, il dislivello tra l’Europa dei 15 e l’Europa dei 27 è visibile, e finché Bruxelles non riuscirà a correggere tale squilibrio è insensato parlare di nuovi allargamenti verso i paesi che non hanno ancora concluso la trasformazione democratica. Precedentemente gli allargamenti affrettati hanno prodotto un’unione Europea a due livelli sia all’interno, sia all’esterno e soprattutto negli occhi del resto del mondo. Sarebbe irresponsabile a non tenerne conto di questi aspetti.