Lukashenko fa fuori tutti i suoi oppositori e ricatta l’Occidente

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Lukashenko fa fuori tutti i suoi oppositori e ricatta l’Occidente

18 Maggio 2011

Sette anni a coppia. E’ come il presidente bielorusso Lukashenko misura la giustizia e vince in politica, facendo fuori i suoi oppositori. E’ accaduto ad Andrei Sannikov e sua moglie, Irina Khalip, per la legge bielorussa due agitatori che meritano il carcere.

I fatti. La notte tra il 19 e il 20 dicembre 2010, Andrei e Irina sono tra i leader dei partiti di opposizione che organizzano una marcia di protesta per le vie di Minsk. Il regime colpisce duro. Sannikov e sua moglie vengono arrestati, insieme agli altri, e condotti negli uffici del Kgb. Restano divisi per mesi. Gli viene impedito di comunicare o avere rapporti con l’esterno. Washington e Bruxelles si affrettano a chiedere la liberazione di tutti i prigionieri, introducendo sanzioni contro la Bielorussia e vietando "all’ultimo dittatore d’Europa" di viaggiare negli Stati Uniti e nell’Ue. Ma non serve a molto.

Oggi, dopo torture e minacce arrivano le sentenze di colpevolezza. "Il 19 dicembre", afferma Sannikov rivolgendosi un’ultima volta ai giudici indifferenti a qualsiasi appello, "non è stato un gesto di protesta, ma di speranza. Vogliamo una cosa sola: vivere nel nostro Paese, votare nella trasparenza, senza timore per le nostre vite e quelle dei nostri figli. Vi avverto, voi che violate la legge: un giorno sarete messi sotto accusa e puniti". La corte del distretto di Partyzanski condanna Sannikov a 5 anni. "Prendetevi cura della mia famiglia, questa è la prima cosa da fare", grida ai suoi sostenitori.

Chi è in piedi nell’aula risponde "libertà". La Khalip dovrà affrontare la corte di nuovo fra due anni, quando la pena di reclusione potrebbe entrare in vigore. Per ora è agli arresti domiciliari, non può lasciare Minsk o uscire di casa dopo le 10 di sera. E’ una giornalista e ha scritto, negli anni, vari articoli di denuncia contro Lukashenko. È stata condannata anche per questo. Le decisioni hanno attirato le critiche, ancora una volta immediate, di Washington e Londra. Intervistata dalla stampa russa, Irina Khalip dubita che il marito sconterà l’intera pena. “Il regime cercherà di ottenere concessioni dall’Occidente, barattando la sua liberazione”. Non sarebbe la prima volta, in passato è già successo. Prigionieri in cambio di prestiti e accordi economici vantaggiosi.

La repressione colpisce anche dissidenti più giovani, che come Sannikov sono destinati a carceri di massima sicurezza o a campi di lavoro. Ilya Vasilyevich, Vladimir Ermenek, Oleg Gnedchik, tutti ragazzi tra i 19 e i 25 anni, sono condannati a tre anni. La stessa sorte per Fyodor Mirzoyanov, 20 anni. La madre non può entrare in aula,  le viene impedito di salutare il figlio. "Ti amo, figlio mio. Sono orgogliosa di te", grida dal corridoio del tribunale.

Dall’inizio delle manifestazioni contro il regime, sono state arrestate più di 700 persone, di cui oltre 20 sono incarcerate per aver organizzato, o preso parte, a proteste illegali. Il leader bielorusso è stato a lungo considerato uno stratega attento ai bisogni del Paese, in grado di giocare tra Mosca e Unione Europea, ottenendo favori da entrambi. Ma ora sta perdendo contatto con la realtà e diventa sempre più aggressivo. Quella di Lukashenko è una vendetta trasversale. Quanto accade a Minsk si intreccia con le contingenze internazionali e con la difficile situazione economica interna.

A metà strada tra Russia e Occidente, il regime ha sempre cercato una via indipendente. Nulla di sbagliato in questo, ma ora sta pagando le conseguenze: l’aumento delle pressioni da entrambe le parti, per ragioni differenti, lo indeboliscono. La politica autoritaria del presidente, in realtà, è stata a lungo tollerata dai partner occidentali. A partire da quel referendum del 1996, quello controverso dalle forti limitazioni democratiche, con il quale Lukashenko imporrà di fatto il regime in Bielorussia e dopo il quale Andrei Sannikov, che in quel periodo è viceministro degli esteri, rassegnerà le dimissioni, segnando il suo divorzio definitivo del dittatore.

La linea del governo fortemente ostile all’influenza russa è preziosa per Stati Uniti ed Europa che per questa ragione garantiranno a Minsk un appoggio incondizionato. La Bielorussia di Lukashenko cerca un’alternativa a Mosca. Tra i suoi nuovi partner si evidenziano anche investitori cinesi, che portano soldi facili, a differenza degli europei che chiedono in cambio garanzie e riforme. Ma i problemi interni al Paese crescono, schiacciati anche della politica energetica di Putin. Lukashenko rivela i suoi limiti. Il ricatto di Mosca fa il resto: è sufficiente una settimana di rubinetti chiusi ed è in trappola. Eppure Lukashenko non si arrende, sacrificando pil e democrazia. Più crescono le tensioni interne ed internazionali, più il suo potere si irrigidisce. Quando si arriva al voto del 2010 la situazione è critica. Putin presenta un proprio candidato, Uladzimir Niaklajeu, che si dichiara pronto a capeggiare una grande rivolta (la rivoltà di Natale), ma prende una manciata di voti. La vera sorpresa arriva da un altro candidato alla presidenza, un ex viceministro ormai all’opposizione: Andrei Sannikov, filo-occidentale come Lukashenko.