L’unione civile tra Renzi e Alfano finisce a sberle

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L’unione civile tra Renzi e Alfano finisce a sberle

01 Giugno 2017

Che la rottura tra Renzi e Alfano fosse cosa fatta lo si era già capito. Il patto del “tedescum” tra Pd, Fi e M5S puntando tutto sullo sbarramento al  5% lascia a piedi i centristi di Ap e con loro tutti gli altri “piccoli”. Ma, oltre al danno della soglia, le dichiarazioni dell’ex premier rilasciate ieri a Porta a Porta hanno anche il sapore della beffa per Alfano & Co: “Sei stato per cinque anni al governo, hai fatto il ministro di tutto e non prendi il 5%?” ha commentato Renzi prendendo di mira il leader di Ap reo di “avere paura di perdere il posto”. “Non è che per questo possiamo fermare tutto” ha continuato ironicamente il segretario Dem dal salotto di Vespa dando dunque il definitivo benservito a quell’Angelino che, per dir la verità, non ha mai alzato la voce né tantomeno ha mai messo in discussione le volontà del Pd e del suo leader in questi anni di governo in coabitazione.

Tant’è che Alfano e i suoi sono arrivati anche a votare leggi come le unioni civili, con tanto di stepchild adoption mascherata, oppure tapparsi il naso sul testamento biologico, provvedimenti tutt’altro che familiari e consoni a un’area che si richiama ai valori cattolici e che esprime il ministro della famiglia. Eppure tutto questo non è servito a nulla. Alla fine, Renzi, dopo aver spremuto a dovere il fido alleato – che, sia bene inteso, gli ha garantito la possibilità di governare senza rischi -, adesso l’ha sacrificato sull’altare della legge elettorale, pur di dare sfogo alla sua sete di vendetta nei confronti degli scissionisti di Mdp, anche loro fuori dai giochi con la soglia del 5%.

Alfano, dal canto suo, per togliersi qualche sassolino dalla scarpa, ha controbattuto confermando l’accusa mossa nei confronti del segretario Dem dal deputato Ncd Sergio Pizzolante su Repubblica Tv secondo cui “Renzi da febbraio ci chiede di far fuori Gentiloni. In cambio ci ha detto: la legge elettorale scrivetevela voi”. Accusa pesante che i renziani hanno subito bollato come “falsa”, arrivando a dare praticamente del matto ad Alfano (vedi Giachetti su Twitter: “A leggere in sequenza le dichiarazioni di Alfano di oggi si capisce che l’estate è arrivata in anticipo #tropposole”). Ma Angelino difende Pizzolante: “È una persona seria, non dice bugie”. Fatto sta che l’accusa, di fatto, non è stata smentita.

Per dirla tutta, anche i dirigenti alfaniani, dopo il patto del “tedescum” e quando hanno capito che con Renzi c’era poco da trattare, si sono posti il problema se far cadere o meno il governo, valutandola tra le carte in mano per provare a fare uno sgambetto all’ex premier e far saltare il patto sulla legge elettorale. Ma alla fine, sono arrivati alla conclusione che se c’è qualcuno a cui sicuramente non conviene far cadere il governo è proprio Alfano. In tal modo, infatti, farebbe l’ennesimo (e ultimo) grande favore a Renzi che, per andare al voto anticipato, una volta approvata la legge elettorale, dovrà costringere Gentiloni a salire al Colle non senza un po’ di imbarazzo. Anche creando appositamente un incidente parlamentare, sarebbe fin troppo evidente che le dimissioni del premier sarebbero dettate solo dalla smania di Renzi di tornare a Palazzo Chigi. Per cui, per Alfano (come per i bersaniani del resto),  far cadere il governo ora significherebbe togliere al Pd anche questo problema e diventare, di conseguenza, il capro espiatorio su cui scaricare tutta la responsabilità per la fine della legislatura. Insomma, un favore niente male a Renzi. E, infatti, a conferma di quanto detto, nel corso della conferenza stampa di oggi, il leader di Ap ha riconfermato il sostegno a Gentiloni, chiosando freddamente “la nostra fedeltà è stata mal ripagata”.

Ragion per cui tra gli alfaniani c’è aria tesa, quasi di rivoluzione. Ma, stando ai fatti, in mano non si hanno armi forti per contrastare le mosse del segretario Dem. Sorte che Alternativa Popolare condivide con tutti i partiti centristi: da Scelta Civica ai verdiniani di Ala, anche loro appiattiti sul renzismo e ora abbandonati al loro destino. Tant’è che, in vista del voto e dando per scontata l’approvazione del “tedescum”, le forze centriste hanno provato a verificare le condizioni per creare insieme un unico cartello elettorale. Prospettiva di cui da giorni si parla ma che non appare entusiasmante. In primis perché, anche unendo i vari movimenti, arrivare al 5% resta comunque un’impresa. A questo si aggiunge il fatto che il voto centrista, in particolare con la legge che si prospetta, sarà facilmente assorbito da Forza Italia, a destra, e da Renzi, a sinistra, in funzione anti-grillina. Sia a destra che a sinistra,infatti, le “estreme”, le forze “populiste”, saranno marginalizzate. Conclusione: lo spazio per un centro competitivo si riduce al lumicino.

Insomma, ormai è chiaro: fare piazza pulita dei piccoli partiti è, dunque, uno degli esiti del “tedescum”, così come va delineandosi. Non solo. La nuova legge elettorale, se da un lato facilita i grandi partiti, dall’altra, non favorendo le coalizioni, sancisce la spaccatura del centrodestra. Anche perché a rischio c’è anche Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, il cui ruolo di ponte di collegamento tra Lega e Forza Italia, era uno dei perni per l’alleanza di centrodestra. Venendo meno questo, sarà inevitabilmente più evidente la frattura tra sovranisti e forzisti. E, ovviamente, con queste divisioni, le stime per un centrodestra vincente volgono inevitabilmente al ribasso. A dirlo è anche la storia: la sconfitta alle elezioni del ’96, con Bossi e Berlusconi divisi ne è la testimonianza.