L’utero, i bambini e la banalità del male

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L’utero, i bambini e la banalità del male

10 Ottobre 2018

“Non avete figli?”.

“No, fino a qualche tempo fa sembrava impossibile, ora siamo troppo vecchi: pensiamo che i bimbi debbano avere dei padri, non dei genitori-nonni. Però se penso alle coppie che con questa sentenza non potranno trasmettere il cognome ai loro figli, mi dispiace ancora di più”.

A parlare è uno dei due contraenti della prima unione civile fra persone dello stesso sesso stipulata nel nostro Paese dopo l’entrata in vigore della legge Cirinnà, intervistato oggi da un quotidiano fra i più autorevoli d’Italia a commento della sentenza della Corte Costituzionale sull’utilizzo comune del cognome.

Si potrebbe obiettare molto sulla domanda: nel migliore dei casi (improbabile) denota scarsa conoscenza dell’anatomia e della biologia. Ancor più, ovviamente, si potrebbe obiettare sulla risposta.

Ciò che tuttavia colpisce più di ogni altra cosa è l’assoluta normalità con la quale ormai si parla di bambini che tutti sappiamo essere scientemente generati tramite un ovulo scelto da un catalogo, portati in grembo da uteri affittati, cresciuti senza una madre e privati della propria identità. Come se fosse una banale ovvietà. No, non è normale, non è ovvio, non è banale.