Ma Al Gore non è stato la mente della guerra nel Kosovo?

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Ma Al Gore non è stato la mente della guerra nel Kosovo?

13 Ottobre 2007

Ecco: tra dieci anni possono sperare anche Dick Cheney e Donald Rumfeld. Hanno letto i giornali e guardato le tv, hanno visto l’ex vicepresidente Al Gore idolatrato come un messia del pacifismo ecologista. Hanno pensato che c’è un futuro da santoni anche per loro, che l’accademia del Nobel evidentemente passa sopra certe cose, che non si ferma dietro alle squallide dicerie e ai biechi retroscena. La sinistra globale che vede in Gore l’uomo del cambiamento, s’è dimenticata che il Nobel per la pace è adesso nelle mani di un signore che è stato la mente dell’intervento militare in Kosovo. Umanitario, ovvio. Le campagne in mimetica e mitraglietta sono sempre a fin di bene quando le fanno gli uomini giusti e sono vigliacchi giochi da oppressori quando le fanno i cattivi dell’attuale amministrazione americana.

Al Gore è quello che ha meno colpe in questo. La più grande è quella di non parlare chiaramente del suo passato da falco. Non è passato poi molto tempo da quando tutti i giornali americani raccontarono i retroscena della campagna Nato nei Balcani: Bill Clinton era abbastanza scettico, lo convinsero il segretario di Stato Madeleine Albright e il suo vice Albert Gore. Nel 2000, in un documentato racconto di “Time”, l’ex vicepresidente fu definito un crociato. “Quando c’è da pretendere una posizione in una crisi internazionale, il suo primo pensiero è quello di mandare in campo i marines, oppure l’Air Force”, disse un funzionario anonimo al settimanale. D’altronde Gore viene dall’ala dura dei democratici: da Senatore del Tennessee ruppe con la frangia liberal del Congresso, quando votò a favore della prima guerra del Golfo, nel 1991. L’anno dopo, durante la campagna elettorale, fu scelto da Clinton proprio per la sua esperienza in politica internazionale. Durante una tappa nel cammino verso le elezioni, Gore diventò fondamentale per capire che tipo di politica estera avrebbe avuto un’eventuale amministrazione Clinton.

L’aspirante presidente e il suo vice a St. Louis, a luglio, erano insieme quando Bill parlò chiaramente di debolezza del presidente Bush Senior nei confronti di Slobodan Milosevic agli albori delle prime guerre dei Balcani. Invocarono pugno di ferro, parlarono di bombe e di intervento deciso contro un dittatore. Clinton fino a quel momento non aveva mai parlato di esteri, secondo la gran parte degli analisti, dietro quel manifesto internazionale c’era proprio Al Gore. Stavano preparando il terreno per i bombardamenti di sette anni dopo. Quelli che nessuno si ricorda più, ma che Dick Cheney e Donald Rumsfeld non dimenticano. Tra dieci anni, magari anche loro avranno individuato un filone politicamente corretto, che li trasformi da spauracchio a icone del neo-noglobalismo. Quelli dell’Accademia del Nobel apprezzeranno e non potranno fare certo due pesi e due misure.