Ma che concorrenza, le banche italiane sono solo un’inestricabile ragnatela
02 Aprile 2010
La partita per le nomine nei consigli di amministrazione di Generali, Intesa-San Paolo e Mediobanca si avvia alla conclusione. Ne esce ancora una volta evidente la complessa sequela di incroci azionari, doppi incarichi, interdipendenze che caratterizzano il nostro sistema bancario e assicurativo. Quella che una volta era stata definita una foresta pietrificata appare oggi come un’inestricabile ragnatela.
La fotografia di tali intrecci era stata eseguita dalla stessa Autorità Antitrust nell’indagine pubblicata nella primavera dello scorso anno. In quel rapporto la Autorità aveva analizzato la governance di un vasto campione di banche, assicurazioni e società di gestione del risparmio. Il quadro che ne risulta é piuttosto scoraggiante sul piano della concorrenza. Le partecipazioni azionarie incrociate tra soggetti tra loro in concorrenza sono notevoli. In 18 delle 83 banche esaminate sono presenti tra gli azionisti uno o più competitors; le 18 banche partecipate da concorrenti comprendono tutti i principali operatori del settore e rappresentano quasi la metà del sistema bancario, misurato sulla base dell’attivo di bilancio.
Nel comparto assicurativo la situazione non è certo migliore. Su 41 società esaminate 6 sono partecipate da concorrenti, con un peso pari al 20 per cento del sistema. Gli incroci azionari interessano addirittura la prima e la seconda compagnia nel ramo danni e la prima e la quarta nel ramo vita.
Il quadro è altrettanto scoraggiante sul piano concorrenziale quanto alla composizione dei consigli di amministrazione dei collegi sindacali. Su circa tremila posizioni censite si riscontrano circa un 10 per cento di casi in cui una stessa persona fisica rappresenta più società tra loro concorrenti. Il fenomeno – conosciuto come interlocking directorates – interessa circa l’87 per cento delle società del campione. Esso si riscontra anche in altri sistemi finanziari, ma il caso italiano supera di gran lunga quanto avviene in Germania in Francia o nel Regno Unito.
Rileva anche osservare che in numerosi casi i componenti dell’azionariato di una società sono legati tra loro da patti parasociali che ne vincolano il comportamento e in questi accordi sono presenti le Fondazioni bancarie che cumulativamente assumono un peso rilevante nella compagine azionaria. Nelle tre principali banche italiane il pacchetto di azioni in capo alle Fondazioni costituisce la componete di maggioranza relativa.
Questa situazione non può che lasciare perplessi quanti ritengono che l’autonomia e l’indipendenza tra gli attori economici sia condizione necessaria per il dispiegarsi della concorrenza. Solo la piena contendibilità degli assetti proprietari e delle quote di mercato è garanzie che manager e azionisti si confrontino correttamente alla ricerca di migliori prodotti a più basso costo da offrire alla clientela.
Il quadro di tali rapporti è destinato ad innovarsi in seguito al cambio di molte amministrazioni politiche locali. L’influenza che i politici locali esercitano sulle Fondazioni, principali azionisti del sistema bancario, dovrebbe portare almeno un ricambio di volti rispetto al passato. Difficilmente consentirà di sciogliere la ragnatela. Sarebbe invece opportuno che i nuovi amministratori locali, tanto attenti alle esigenze del territorio, si interroghino sulla filosofia con cui sono gestiti i patrimoni delle Fondazioni.
Il quesito è semplice. I patrimoni delle Fondazioni devono continuare a essere investiti in partecipazioni bancarie – in alcuni casi anche in misura preponderante – i cui dividendi sono instabili, oppure è meglio che siano investiti in un patrimonio diversificato in titoli o fondi e affidato a gestori professionisti, per generare proventi stabili e consistenti con cui programmare l’attività statutaria? Forse chi ha veramente a cuore il territorio dovrebbe pretendere che i patrimoni delle Fondazioni siano gestiti con l’obiettivo di ottimizzarne il rendimento, per potere essere massimamente efficaci nella attività di erogazione, e non utilizzati per sedersi al tavolo del risiko bancario.