Ma chi l’ha detto che Terzi doveva informare Monti?
27 Marzo 2013
Le improvvise e sorprendenti dimissioni del ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata non contribuiscono solamente ad alimentare le polemiche sulla già complessa vicenda dei fucilieri di marina ma, seppur in modo velato, offrono uno spunto interessante nella prassi delle istituzioni repubblicane.
Sia il Capo dello Stato sia Mario Monti non hanno nascosto la loro contrarietà rispetto al gesto dell’ex ministro, innanzitutto perché, in tal modo si sarebbe palesata in modo evidente la debolezza del percorso diplomatico intrapreso dal governo italiano dal quale, ormai da tempo, oltre al senso di precarietà, trapela solo una certa confusione. Non è stato difficile notare come, alla prima occasione utile, senza il Parlamento “silenziato” di quest’ultimo anno e mezzo, il governo sia andato in cortocircuito.
Senza più l’aurea salvifica che lo circondava, senza più i mezzi di informazione che, ora più ora meno simpatizzanti, ne mettevano in luce le qualità e mai le debolezze, l’esecutivo è, anche visivamente, apparso un corpo estraneo a quelle istituzioni che aveva scavalcato a causa della crisi ancora presente.
Dimissioni “irrituali” e “sconcertanti”, si è detto. Napolitano non era stato informato. Monti, che pure la mattina stessa aveva concordato con Terzi il discorso da tenere in Aula, non ne sapeva nulla. Gran parte del mondo politico è inorridito rispetto a questo gesto: le dimissioni pronunciate in Aula. Ma è davvero così grave questa azione? Innanzitutto, Costituzione alla mano, un ministro che fa parte di un Governo risponde del suo operato politico al Presidente del Consiglio solo a livello formale. Formale perché il Presidente del Consiglio è sprovvisto del potere di sfiduciare un proprio ministro: oltre che invitarlo a dimettersi altro non può fare. Se il Governo risponde e relaziona al Parlamento ci chiediamo perché non possa farlo un ministro, che in primo luogo del governo fa parte e, tanto più, da quello stesso Parlamento può essere sfiduciato.
Lo sconcerto dei vertici istituzionali è assolutamente immotivato: se un ministro decide di dimettersi di fronte a chi gli vota o gli revoca la fiducia è piuttosto una scelta sì irrituale, ma anche responsabile e rispettosa del dettato Costituzionale. Se poi, ritiene di dover informare il Capo dello Stato e del Governo immediatamente prima di annunciarlo in aula, faccia pure, ma è solo una questione di routine se, come abbiamo dimostrato, i ministri rispondono alle Camere in modo sostanziale. La carta fondamentale è piuttosto chiara: l’organo centrale della nostra democrazia è il Parlamento, tutti gli altri sono di contorno.
Ha forse informato il suo governo il Presidente Monti quando aveva deciso di aspirare alla presidenza del Senato? Probabilmente no. Come non aveva informato della sua non troppo velata volontà il Parlamento, grazie al quale può fregiarsi, ancora oggi, della carica di Presidente del Consiglio e Ministro degli esteri della Repubblica.
A chi invece ritiene, Monti compreso, questo gesto uno “strappo” e un precedente pericoloso per la prassi istituzionale bisognerebbe rammentare che, come ricordato, meno di due settimane fa, nei piani del Presidente del Consiglio, c’era il trasloco da Palazzo Chigi a Palazzo Madama. In qual caso, unico nella nostra storia, un governo in carica per gli affari correnti avrebbe perso la sua guida, che sarebbe andata al ministro più anziano che oltre alla sua delega iniziale avrebbe assunto la presidenza del Consiglio e, da ieri, anche gli esteri. Un autentico sfregio alla prassi, che fin d’ora aveva visto sempre l’inquilino di Palazzo Madama andare a Palazzo Chigi, e non viceversa. Arrivati fin qui ci chiediamo se questo modo di “abbandonare la nave” (frase cara al ministro Di Paola), è forse meno grave di quello usato da Terzi. Nella storia repubblicana è la prima volta che un ministro si dimette in aula, a viso aperto e senza percorsi e scappatoie concordate. Al di là della condivisione dell’operato (e della tempistica) del ministro non rimane che considerare il gesto e le modalità. Forse le più rispettose del Parlamento dalla nascita del Governo Monti.