Ma dove va il governo italiano senza Draghi e il “quantitative easing”?
24 Agosto 2017
di Carlo Mascio
“Il Quantitative easing? Un successo”. Parola di Mario Draghi. Il presidente della Bce continua a difendere a spada tratta la “sua” politica di stimolo monetario e dei tassi di interesse bassi. Lo ha fatto anche ieri al Nobel Laureate Meeting di Lindau, in Germania, sostenendo che “ampie ricerche empiriche hanno affermato il successo di queste politiche nel supportare l’economia e l’inflazione, sia nell’Eurozona, sia negli Usa”. Messaggio chiarissimo soprattutto ai padroni di casa, i tedeschi, che di quantitative easing proprio non ne vogliono sentir parlare. E non vedono l’ora di sbarazzarsene.
Non a caso il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, è tornato ad alzare la voce sul tema: “Secondo le nostre previsioni di giugno, non c’è l’esigenza reale di prolungare per il prossimo anno il programma di acquisto”, ha detto alla rivista Boersen-Zeitung, anticipando su cosa cercherà di indirizzare la decisione collegiale. “È necessaria piuttosto una uscita ordinata”. Tradotto: non occorre più andare avanti con la politica dei tassi di interesse bassi. Il pressing tedesco non è fine a se stesso ovviamente. Anche perché in questi ultimi mesi, anche per via di questi tassi di interesse, l’inflazione in Germania è continuata a salire. In più, in ballo c’è la tutela della redditività delle banche tedesche.
Ma il buon Mario, per ora, sembra fare orecchie da mercante. E anche a Lindau non ha fatto alcun accenno a tempi e modi attraverso i quali il suo istituto possa ridurre e concludere la politica di stimolo monetario in corso. “Dovremmo continuare a prepararci per nuove sfide”. Questa è stata l’unica sibillina apertura del presidente della Bce. Cosa significano queste “nuove sfide” per ora non è dato a sapersi.
Una cosa però è certa: se le pressioni tedesche dovessero avere la meglio portando a smantellare il quantitative easing, per l’Italia le cose non si metterebbero bene. “I conti pubblici del nostro Paese non sono ancora al sicuro e il mercato secondario dei titoli di Stato è congelato. Di fatto l’Italia è impreparata” ha dichiarato in merito il vicepresidente di Unimpresa, Claudio Pucci. Anche perché il nostro Paese, a quanto pare, non ha portato a compimento quelle “riforme strutturali” in campo economico auspicate dallo stesso Draghi, in modo tale da sostenere la crescita e, soprattutto, ridurre il debito pubblico. E infatti, come abbiamo detto più volte, il debito pubblico negli ultimi anni non solo non si è ridotto ma è aumentato (135 miliardi con il governo Renzi) e, stando ad alcune analisi, continuerà salire nei prossimi tre anni. Il che significa che con tassi più alti, con ogni probabilità, risulterebbe necessario un aumento delle tasse, andando dunque a gravare ulteriormente su un’Italia che ancora stenta ad uscire dalla crisi.