Ma gli opinionisti liberal si ricordano o no chi ha lanciato la “lotta alla casta”?

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Ma gli opinionisti liberal si ricordano o no chi ha lanciato la “lotta alla casta”?

14 Maggio 2018

Non c’è discussione pubblica senza un minimo di verità. Ritenere, come molti populisti radicali fanno, che l’establishment corrisponda a una classe definita ancora prima della competizione, che sia cioè una ‘casta’ ex ante e immobile”. Così scrive Nadia Urbinati sulla Repubblica del 14 maggio, numero del quotidiano di Largo Fochetti, nel quale potete trovare anche questa frase di Ilvo Diamanti “La politica ha bisogno di compromessi”.  Sono affermazioni entrambe di un certo interesse che però richiederebbero, per essere utili, una dose anche minima di ricostruzione della realtà effettuale. L’invenzione della lotta alla “casta politica” non è di Beppe Grillo né di Umberto Bossi o di Matteo Salvini, ma viene lanciata da Luca Cordero di Montezemolo in un’ assemblea della Confindustria da lui presieduta nel 2007 e insieme viene sostenuta dal Corriere della Sera diretto da Paolo Mieli con potenti articoli (poi diventati un diffusissimo libro) di Gian Antonio Stella. La campagna contro “i compromessi in politica” ha la sua base fondamentale nello scatenato assalto del gruppo editoriale Espresso-Repubblica contro il tentativo del 1998 di Massimo D’Alema di trovare un’intesa con Silvio Berlusconi sulle riforme istituzionali. E fu in quella occasione che si lanciò il termine Dalemoni. L’intento di riportare i buoi che si è attivamente cacciati dalla stalla, da parte di un certo opinionismo liberal, è encomiabile, però per avere un minimo di credibilità deve basarsi su un racconto che registri gli eventi come si sono concretamente sviluppati, non ricostruiti con smemoratezze ad hoc.

E il sovranista putiniano anti-atlantico sarebbe Salvini? France has condemned the re-imposition of sanctions as ‘unacceptable’. Economy Minister Bruno Le Maire said Europe had to defend its ‘economic sovereignty’”. “La Francia ha condannato la reintroduzione delle sanzioni per l’Iran”. Così il sito della Bbc del 12 maggio riporta le parole del ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire che ha rivendicato la sovranità europea e ha anche detto che si deve ragionare su contro sanzioni verso gli Stati Uniti. Mentre sul caso Iran – ci informa sempre il sito della Bbc- Angela Merkel ha telefonato a Vladimir Putin. Notizie interessanti sulle quali sarebbe necessario che coloro che passano il loro tempo a spiegarci come non si possa rompere la solidarietà atlantica e tanto meno lanciare ponti a Putin, ci illustrassero la base dei loro ragionamenti.

Perché si deve essere grati alla grande saggezza di Sergio Mattarella. Il presidente della Repubblica ha concesso molto, in tempi di tempo e di spazio, alle persone percepite come vincitrici”. Così scrive sul Corriere della Sera del 14 maggio Massimo Franco. Il presidente Sergio Mattarella si sta comportando con molta saggezza perché ricorda sempre, giustamente e puntualmente, le caratteristiche della nostra Costituzione che essenzialmente  è quella in cui operava anche Luigi Einaudi e insieme ha ben presente la realtà (che non è solo percezione come ormai è di moda presentarla ma vera e propria consistenza dei fatti concreti) in cui l’attuale capo dello Stato opera. E di questa realtà fa parte una dinamica politica che è assolutamente difforme da quella degli anni Cinquanta. Allora la discussione politica era disciplinata dalla Guerra fredda: chi stava con l’Occidente nella logica stessa del patto di Yalta aveva l’onere di governare, chi stava con Mosca di fatto rinunciava a presentarsi come una alternativa alla guida della nazione. E, oltre alle decisive alleanze internazionali, contavano i numeri: i presidenti della Repubblica pur talvolta condizionati dalle articolate manovre del Pci, erano naturale e materiale espressione della maggioranza democristian-laica. Oggi non solo non esiste un quadro internazionale simile a quello dei Cinquanta (si pensi solo alle schermaglie tra Berlino e Washington, entrambi nostri decisivi alleati) ma va anche ricordato come la maggioranza dei parlamentari eletti il 4 marzo militi in formazioni (Lega, Forza Italia, Fdi e Cinquestelle) che nel 2015 non votarono per Mattarella presidente. Solo un uomo ben più saggio dei suoi commentatori dunque, concedendo tutto lo spazio e il tempo necessari, riesce oggi a tenere insieme il necessario rispetto alla Costituzione con il ben determinato (altro che percepito) quadro politico attuale.

Anche la Catalogna insegna ai giustizialisti di tutto il mondo che non si risolvono gigantesche questioni politiche con metodi puramente amministrativo-giudiziari. “El futuro ejecutivo catalán lleva camino de repetir o, como mínimo imitar, los pasos del proceso independentista que el pasado otoño acabaron con la intervención de la autonomía por parte del Gobierno y con el encarcelamiento de buena parte de sus miembros. El candidato a la presidencia de la Generalitat, Quim Torra (Junts per Catalunya) confirmó en el debate de investidura de este sábado que su objetivo es la consecución de una república catalana precedido de un proceso de elaboración de una constitución”. Miquel Noguer scrive su El Paìs del 13 maggio che il probabile nuovo presidente della Generalitat della Catalogna, Torra, proseguirà sulla linea indipendentista di  Carles Puigdemont. Ecco l’ennesima prova (non una novità per noi italiani segnati dai disastri combinati con la politicizzazione di vaste aree della magistratura post ’92) che voler risolvere con metodi puramente amministrativo-giudiziari questioni gigantescamente politiche, non fa che peggiorare lo stato delle cose.