Ma quale dialogo. Al paese servono riforme impopolari
20 Maggio 2008
di Milton
Queste prime settimane della nuova legislatura ci regalano, come tutti i commentatori dicono, con una quasi sempre malcelata soddisfazione, un clima nuovo nelle aule di Montecitorio e Palazzo Madama. A dire il vero, se non fosse per l’arrogante rozzezza dell’improponibile Torquemada di Montenero di Bisaccia, le aule del Parlamento iniziano ad assomigliare a quei noiosissimi ed inutili club inglesi esclusivi, dove mentre si discuteva amabilmente di caccia alla volpe e di cricket gli aerei tedeschi bombardavano Londra, e dove come diceva W. Churchill, chi aveva qualcosa da dire taceva e chi non aveva niente da dire parlava.
A me sembra piuttosto una melensa manfrina, nella quale ciascuno, per ragioni diverse, sente il bisogno di legittimarsi agli occhi degli interlocutori: il Governo per affermare che i berluscones possono essere sdoganati e finalmente acquistare dignità istituzionale, il Presidente Berlusconi che così incassa l’endorsement di Celentano (Mieli non avendone azzeccato uno negli ultimi 10 anni, si affida al Molleggiato. Che brutta fine il Corriere!), il Presidente della Camera che ha dovuto citare, nel suo discorso di insediamento, decine di volte il 25 Aprile ed il 1 Maggio per prendere le distanze da non so poi quale oscuro passato, il capo del maggior partito di opposizione (come a lui piace essere chiamato) che dice "dialogate con me sono io l’interlocutore", per rintuzzare gli attacchi dei dalemiani e delle opposizioni interne e per non finire triturato dalla pesante sconfitta elettorale. Persino il nuovo sindaco di Roma ha avuto bisogno dalla legittimazione di qualche nano e ballerina di sinistra, per potersi sentire nel pieno delle sue funzioni (si parla di Venditti nella commisione Attali per il Comune di Roma, mentre Pluto e Paperino, notoriamente di sinistra, devono dare ancora la loro disponibilità, la Ferilli ha già declinato).
La situazione diviene ancora più paradossale se dalla ricerca del dialogo si passa ai presunti contenuti del dialogo stesso. Mentre la benzina sale a quota 1 euro e mezzo al litro, la bolletta energetica esplode e il prezzo del pane ha raggiunto livelli da assalto ai forni di manzoniana memoria, ci si compiace perché finalmente c’è apertura tra maggioranza e opposizione sulla Rai e presumo relative poltrone. Comunque niente paura, come dice Juncker, il problema dell’inflazione galoppante si può risolvere aumentando ulteriormente la tassazione sui mega stipendi di alcune decine di top manager (?‘!). Mentre i pensionati e le famiglie monoreddito sono alla spasmotica ricerca di ogni genere di sconto tra un supermercato e l’altro, volti soddisfatti vagano nell’emiciclo, perché si sta creando una piattaforma condivisa sulle riforme dei meccanismi parlamentari e la riduzione del numero dei deputati e senatori. Per non parlare delle convergenze by-partisan che si dice si vanno delineando sulla pubblica amministrazione e i cosidetti fannulloni: abbiamo infatti appena scoperto dal nuovo ministro della Funzione Pubblica, con la conferma puntuale dei sindacati, che i meccanismi per punire chi non lavora nel settore pubblico già esistono e hanno portato alla bellezza di 72, dico settantadue! licenziamenti nel 2006. Lascio al lettore il calcolo della percentuale sul totale dei dipendenti pubblici pari a 3 milioni e mezzo.
Ma cerchiamo di essere seri, su che cosa si deve dialogare. La situazione del Paese è talmente seria e grave e strutturalemente in stato di avanzata decomposizione, che richiederà il cambiamento di stili di vita, la demolizione di rendite e corporazioni, riforme strutturali complesse ed impopolari. Ma quale dialogo si pensa di poter intavolare, quando si inizierà finalmente a tagliare la spesa pubblica corrente (perché è questo che si deve fare) per finanziare il taglio delle tasse, unico modo serio per rendere più competitivi i salari e gli stipendi. Ma quale dialogo ci sarà, quando si dovrà rimettere mano (perché è questo che si deve fare) alla riforma delle pensioni portando velocemente (un superscalone) l’età pensionabile a livelli europei, per poter finalmente avere pensioni dignitose per tutti. Ma quale dialogo ci sarà quando qualcuno si deciderà (perché è così che si puniscono i fannulloni) a bloccare il turn-over nella pubblica amministrazione, riportare l’assenteismo ai livelli delle aziende private e limitare i distacchi sindacali, curiosa anomalia tutta italiana. Ma quale dialogo ci sarà, quando si sarà costretti a sgomberare con la forza i no-tav, per iniziare finalmente i lavori in Val di Susa ed evitare di continuare ad essere gli zimbelli d’Europa, o quando bisognerà usare fermezza per aprire discariche e progettare termovalorizzatori per lavare l’onta dei rifiuti di Napoli oppure iniziare i lavori di nuove centrali nucleari per avere la possibilità di avere per i nostri figli una bolletta energetica più vicina ai cugini francesi.
La legittimazione al fare, a realizzare il programma, l’hanno data i cittadini-elettori un mese fa, non serve quella dell’opposizione o delle corporazioni. Gli elettori sono stati chiari, il mandato è inequivocabile. Il dialogo è un accessorio, serve invece prendersi le proprie responsabilità, avere coraggio e determinazione al servizio del Paese. Meno Richelieu a Palazzo Chigi e più foto di Margaret Thacther.