Ma quelle strane tracce di terra

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Ma quelle strane tracce di terra

19 Dicembre 2010

Nessun rumore era stato avvertito da chicchessia. Il suo delitto era passato inosservato. In cuor suo l’omicida sapeva di aver ragione, ma sicuramente nessuno gliene avrebbe dato atto: aveva pur sempre ucciso una ragazza indifesa.
Uscì silenziosamente dalla casa, richiuse la porta alle sue spalle e iniziò a meditare su un eventuale alibi che avrebbe dovuto rifilare alla polizia per quell’ora.

***

«Falconeri, tu lo sai, odio quei polizieschi dove la polizia “brancola nel buio” e tutti i poliziotti sono dei ritardati: sono i classici polizieschi dove l’investigatore privato è l’unico che sembra avere un qi nella media. Ma non puoi farmi sempre le stesse domande» disse Corbera con stizza.
«Ti ho solo chiesto secondo te come ha fatto. Ti sei svegliato male oggi?» chiese Falconeri offeso.
«Sì, scusa, oggi sto un po’… non so…».
Era stata trovata morta una giovane cassiera, uccisa da diciannove coltellate in casa sua.
«Le impronte sulla maniglia sono purtroppo illeggibili» aveva detto il commissario, immusonito, «e per terra vi sono delle tracce di terriccio per cui non v’è spiegazione» continuò ancor piu` contrariato.
«Perfetto, soffermiamoci su questa tracce: c’è la possibilità che possano appartenere alla vittima?».
«Era in pantofole».
«Potrebbero appartenere all’assassino?».
«Sì, ma è molto improbabile».
«Perché?».
«C’è solo terriccio, nessuna traccia di altre sostanze: in pratica è come se la terra fosse stata prelevata da un pacco di quelli che si trovano nei supermercati per trapiantare le piante da un vaso all’altro».
«Secondo te come è potuta entrare in casa quella terra?».
«Direi il vento, ma non c’era vento il giorno del delitto, anzi, l’afa era peggiore di quella di oggi».
«Non so cos’altro dire. Forse il gatto…» suggerì a stento il professor Corbera.
«Il gatto è stato trovato morto all’ingresso: avvelenamento da acido prussico».
Per un po’ rimasero in silenzio. Il professore si affondò nell’angolo destro del divano, si afflosciò e sbarrò gli occhi assenti fissando il nulla.
«Purtroppo non abbiamo nemmeno dei sospetti».
«Fammi vedere la scena del crimine».
Si alzarono e si diressero al luogo dell’omicidio.

***

Il viaggio fu fatto, con grande afflizione del professore, sull’auto del commissario: una Panda del ’75. Il suo proprietario non aveva mai fatto risistemare i sedili da quando l’aveva comprata di seconda mano. Durante il viaggio Corbera provò ad approcciare col commissario tale gravoso argomento:
«Come vanno le cose, caro Falconeri?».
Il commissario lo guardò come se fosse stato un tonno parlante.
«Bene, grazie».
«Tutto a posto, vero? Mi fa piacere».
Attimo di silenzio.
«E la busta paga? Com’è stata? Soddisfacente?».
«La solita».
Attimo di ulteriore e teso silenzio.
«Bella quell’auto lì».
«Cosa?».
«No, dico, quell’auto lì, nuova…» disse calcando l’ultima parola il professore «coi sedili nuovi… morbidi» calcò nuovamente l’ultima parola.
«Già. Bella».
«Proprio un acquisto azzeccato sarebbe».
«Magari».
«Ma allora perché non realizzare questo sogno?».
Chiese con enfasi il professore, illudendosi di aver fatto breccia nel cuore del commissario.
«Ma scusa, questa cos’è?» fece Falconeri piccato.
«Questa cosa?».
«Quella su cui stai viaggiando ora. Non ti garba come auto?».
«No».
« No?!».
«No, volevo dire si, in fondo squadra vincente non si cambia».
«Stiamo insieme da una vita io questa bellezza».
«Lo so, Falconeri, lo so».
Il professore aveva marcato tutte le parole stavolta. Gli era mancato il coraggio di nuovo. Ma come al solito si ripromise di dirglielo.

***

Giunti al civico quattordici di via Altrude da Roma (“via da Roma” pensò Corbera), casa della vittima, il portinaio – un settantenne basso e segaligno – chiese loro cosa volessero.
«Sono il commissario di polizia Giuseppe Falconeri, devo salire al quinto piano dove sta l’appartamento sigillato».
«L’accompagno».
«Non c’è bisogno».
Mentre si allontanavano, il professore colse un’occhiata malevola del portiere.

***

Di sopra, un’orda di piedate aveva sconvolto l’ordine che doveva esserci. Tutto messo a soqquadro dagli psicopatici della scientifica e della polizia che scorrazzavano sulle impronte e sulle tracce come dei teppisti in una città fatta di vetrine da rompere a sassate. Quella volta c’erano andati proprio giù pesante.
Il professore cercò minuziosamente ovunque, ma il risultato fu solo una ciocca di capelli rossi in un angolo buio fra l’armadio a muro e la cristalliera e una lente a contatto vicina alla lavatrice.
Mentre stavano a guardarsi in faccia come a dire “E ora che facciamo?”, bussò alla porta qualcuno. Falconeri fu il primo a destarsi da quella meditazione reciproca.
Ancheggiò fino all’ingresso evitando i vari mobili in disordine come uno sciatore provetto. Posò la mano sulla maniglia di maiolica, aprì e, quando vide chi bussava, provò uno strano fremito alla schiena. Era una vecchiaccia brutta e ingrugnita che disse sgarbatamente:
«Basta rumori».
«Signora, siamo…».
«Non me ne importa: basta rumori! Ora che lei ha finito, iniziate voi?».
«Lei chi?» domandò il commissario.
«La cassiera».
Così dicendo era ritornata ghignando alla porta accanto. Quando il commissario tornò dal professore, lo trovò intento a leggere l’agenda della vittima. Corbera lo vide e gli domandò preoccupato:
«Come mai sei così pallido? Chi era alla porta?».
«La matrigna di Biancaneve».
«Chi?».
«La vicina di casa. Hai presente Rosy Bindi? Beh, aggiungile cinquant’anni di più e più rotelle fuori posto di quante non ne ha già».
Il professore ebbe un fremito del quinto grado della scala Mercalli lungo la schiena.
«Che voleva?».
«Mi ha detto di non fare rumore».
«Rumore? Ma se non stavamo neanche parlando».
Il silenzio di Falconeri fu eloquente: l’aveva detto che era una squilibrata.
«Secondo me» aggiunse il commissario «ha a che fare con l’omicidio. Ha bofonchiato che anche la ragazza morta faceva rumore».
«Il solito delitto di Ferragosto dovuto al caldo?».
«È plausibile. La vittima le apre, le gira la schiena, pensando di non aver nulla da temere, e il gioco è fatto».
«E il terriccio?».
«Gli anziani hanno sempre qualche pianta in casa».
«E la ciocca di capelli?».
«Qualche compagnuccio di passaggio».
«E la lente a contatto?».
«Idem».
«E il gatto?».
«Faceva rumore pure lui».
«Perché l’ha avvelenato?».
«Scappava e non riusciva ad accoltellarlo».
«Come si è procurata l’acido prussico?»
«Mi arrendo».
«Piuttosto leggi qua».
Porse l’agenda a Falconeri. C’erano solo tre nomi: Chiara, Massimo, Francesca.
Sotto i nomi, i rispettivi numeri telefonici e l’ora della visita: tutte nell’arco di tempo in cui era stato commesso l’omicidio.
Il commissario fece interrogare i tre indiziati, venendo a sapere che nessuno di loro era potuto andare all’appuntamento. Il professore e il commissario erano al punto di partenza.

***

Mentre il professore stava passeggiando sulla solita stradina che lo conduceva al Pensatoio, tentava di immaginare com’era andata. Se la vedeva quella bellissima donna che voltava le spalle al suo assassino. Purtroppo però non disponeva di cinque elementi importanti: il movente, il proprietario della lente a contatto, quello della ciocca di capelli rossi, la cosa che aveva prodotto i segni di terra e il motivo che aveva spinto a uccidere il gatto.
Passava vicino a un manifesto che recava la scritta “Cosa pensano i cittadini?”. Per analogia gli venne in mente un racconto di Camilleri intitolato Sostiene Pessoa.
Rammentava il suo contenuto. Faceva presente i vari esempi di errori di deduzione che si fanno presupponendo qualcosa non provata. Uno che poteva essergli utile era “è errato pensare che gatto e padrona siano morti nello stesso momento”.
Infatti, nella sua mente andava delineandosi l’ipotesi che il gatto non fosse morto nello stesso momento della padrona.
Era arrivato al muretto diroccato che ben conosceva.
Si sedete e concentrò la sua attenzione sui cinque punti che lo lasciavano perplesso.
L’unico modo che c’era per fare un esempio di come lavorasse la sua mente in quel momento era avere presente la lavorazione del vetro di Murano.
Ogni fase era importante per la modellatura della massa incandescente. Ogni soffio nella canna corrispondeva per Corbera allo scarto di una ipotesi impossibile. La fase in cui si modella la forma dell’oggetto alla verifica dell’ipotesi per vedere se c’è qualche falla. L’uso delle pinzette per le arricciature era analogo al passaggio in cui sagoma l’ipotesi attorno alle notizie a propria disposizione (orari, arma del delitto, alibi, ecc.) e infine quando viene messo l’oggetto finito nella fornace, si poteva mettere in porto la propria teoria.
Il professore enumerò le persone che erano coinvolte. “Il portiere, la vicina e i tre amici. Il primo aveva il modo e l’opportunità, poiché sicuramente adopera l’acido prussico contro i parassiti delle piante e, in quanto custode dello stabile, avrà avuto il duplicato delle chiavi di tutti i condomini partiti per le vacanze. La povera ragazza aveva le valige fatte e l’aria condizionata al massimo per non sudare e rovinarsi i capelli. La vecchia aveva anche modo e opportunità: era un’innocua vecchina che chiedeva lo zucchero e che poteva aver rubato al portinaio in un attimo di distrazione il veleno per il gatto. Entrambi avranno dei coltelli in casa. Chiara, intagliatrice di legno che poteva avere modo e opportunità in quanto con una notevole forza nelle braccia avrebbe potuto pugnalare l’amica, dal momento che le aveva fatto visita. Massimo, entomologo, lo potrei escludere subito, poiché non aveva il modo, ma solo l’opportunità. Infine Francesca, la modella che non avrebbe mai sciupato il suo aspetto per accoltellare la cassiera. Che però potrebbe aver tentato di avvelenarla. O no?”.
Ma purtroppo nessuno di loro aveva un movente per uccidere il gatto.
Non trovava posa il pensiero di Corbera. Due piccoli ricci si trovavano a passare di là, stranamente aggraziati per essere così poco armoniosi nelle fattezze. Il professore rammentava con rammarico mille altre di quelle bestioline schiacciate dalle ruote delle auto sulle stradelle toscane.
A un certo punto vide avvicinarsi un serpente ai due istrici, subito questi ultimi si chiusero a palla e il serpente non poté più farsi valere. Per un po’ il professore vi rifletté su e poi, come per incanto, ebbe di fronte i fatti.

***

Il professore aveva chiesto al commissario di dare un sbirciatina agli schedari per vedere se l’entomologo aveva dei precedenti penali e Falconeri gli comunicò che il ragazzo si era beccato una condanna per stupro e una per il contrabbando di animali protetti.
Il commissario inoltre aveva ricevuto un invito da Corbera intorno alle cinque del pomeriggio.
«Amico mio, se la mia scenetta va in porto, abbiamo l’assassino».
Così il professore aveva iniziato la conversazione.
«Che hai in mente Corbera?».
«Solo far credere al caro Massimo che io sono un cliente».
«E come combinerai la farsa».
«Ci penserai tu».
«Io?! E come?».
«Fra i galeotti metterai la voce che c’è uno che pagherebbe un bel po’ per alcuni insetti».
«Quali?».
«Lo dico a te, ma tu lo dovrai tenere segreto. Degli esemplari di Apheloria Corrugata».
«Perfetto, ma come sai che il caro ragazzo accetterà?».
«Dal mio archivio personale ho preso il nome di un vecchio “amico” che mi ha confidato che Massimo è il migliore contrabbandiere in città per queste cose».
«E quando te li darà?».
«Non me li darà».
«E allora?».
«Non me li darà perché, se non mi sbaglio, li ha usati tutti lui».
«Solo un’altra domanda, ma perché questi insetti come amai non sono comuni da trovare?».
«Perché sono armi improprie».

***

Aveva optato per il classico. Si era domandato come si sarebbe vestito un tizio che cerca degli insetti e che li avrebbe anche pagati diverse centinaia di migliaia di euro. La risposta era la citazione di tanti filmetti di spionaggio: vestito di bianco e Panama color avorio.
Così conciato, il professore aveva fatto il suo ingresso nel fastoso appartamento del giovane. Strano che un entomologo di appena una trentina d’anni avesse uno stile di vita così alto. Senza preliminari, il giovane disse a Corbera (che si era spacciato per un ricco collezionista di nome Alfredo Meltelli) che purtroppo non aveva più quel genere di insetti. Alla domanda di Corbera, egli rispose che gli ci sarebbero voluti alcuni mesi per averne altri. Però il professore non demordeva:
«Possibile che li abbia finiti, come mai? Eppure ero stato informato di una spedizione a suo nome proprio di questi insetti».
«Li ha comprati un’altra persona di cui non posso dire il nome».
«Suvvia, possibile che un ragazzo intelligente come lei non capisca che è solo nel proprio interesse un affare del genere».
«No! Non ne ho più, e ora se ne vada».

***

«Come ti è andata?» chiese euforico Falconeri all’entrata del portone.
«Discretamente. Non aveva più insetti».
«Ma va!» disse con sarcasmo il commissario.
«Dice che ci vorranno alcuni mesi».
«E ora che si fa?».
«Aspetteremo che torni sul luogo del delitto».
«Come sai che ci tornerà?».
Il professore, col sadico piacere che i detective dei polizieschi che odiava in quei casi provano, non rispose.

***

Erano silenziosamente appostati nell’oscurità. Il professore era talmente teso e pronto a scattare su chi sarebbe entrato che a sfiorarlo con un archetto avrebbe suonato. Riuscivano a sentirsi i battiti del cuore a vicenda quasi.
A un tratto un fascio di luce fu proiettato dalla porta aperta a fessura. Un piede vi fece capolino, il figuro si diresse nei pressi della cristalliera, cercò, e dopo un po’ emise una bestemmia di disappunto. Iniziò a correre verso la porta e fu allora che, mentre si gettavano ai piedi del fuggitivo, il professore gridò al commissario:
«La porta!».
Vi fu una piccola colluttazione che finì quando Falconeri, errando traiettoria, calciò lo stinco sinistro del professore, causando una feroce reazione da parte di questi che diede un gancio destro al figuro.
Rintontito dalla mossa di Corbera, il losco individuo fu fatto sedere e quando Falconeri accese la luce, si trovò davanti Chiara. Le chiese stranito:
«Che ci fa lei qui?».
«È naturale» disse Corbera tranquillo «cerca la ciocca di capelli che le aveva strappato la povera cassiera durante la loro piccola baruffa, il giorno prima dell’omicidio. Nevvero?».
La ragazza non rispose. Corbera continuò:
«Difatti, voi due non eravate amiche, ma solo socie in affari. Anna, la cassiera, era diventata ingorda. La droga paga bene e lei aveva iniziato a fare viaggi intorno al mondo insospettendo tutti: ne stava per fare uno il giorno dopo che venisse uccisa. Perciò lei, volendo tutelare i propri affari, ha tentato di eliminarla chiedendo a Massimo quel particolare tipo di insetti, che, per difendersi dai nemici, emettono dai fori della pelle acido prussico allo stato gassoso, i cui effetti tossici sono micidiali. Ma c’è stato un piccolo intoppo, il gatto, guidato dall’istinto, ha mangiato le bestioline, che lo hanno ucciso col gas».
In quel momento si udì un rumore dalla porta. Falconeri spense la luce e tutti e tre si gettarono dietro il divano. Questa volta il figuro si diresse alla lavatrice, emise anche lui un grugnito di disappunto e tentò di scappare, stavolta Corbera (per evitare un altro calcio) lo stordì con un colpo alla nuca. Quando rinvenne, gli scoprirono il volto dal passamontagna e videro apparire il viso di Massimo. Corbera, davanti alla faccia sconvolta di Falconeri, disse:
«Pure lui ha scordato qualcosa: la sua lente a contatto. Mentre il gatto moriva, la sua padrona aveva un incontro amoroso forzato col qui presente Massimo, il quale, dopo aver terminato la sua “prestazione”, era andato a farsi una doccia, ma anche per lui c’è stato un intoppo. La forte aria condizionata aveva fatto asciugare il liquido su cui galleggiano le lenti di quel tipo sulla retina, perciò non se n’è accorto subito di averne persa una. Ma uscito dal bagno, un’altra brutta sorpresa lo attendeva: la sua vittima voleva rendergli la pariglia bucherellandolo con un coltello. Però il caro Massimo fu più lesto e dopo averla disarmata, l’ha uccisa».
Il commissario li arrestò e li fece portare via da una volante.
Quando rimasero soli, il professore disse:
«Toglimi una curiosità».
«Se posso…».
«Ma dove hai imparato a dare quei calci?».