Ma sullo Ius soli a che gioco gioca Gentiloni?
22 Agosto 2017
di Carlo Mascio
“Garantirò la fine ordinata della legislatura”. Dal palco del Meeting di Rimini, tradizionale appuntamento agostano di Cl, il premier Paolo Gentiloni sembra non avere dubbi: la legislatura arriverà alla sua scadenza naturale. Dichiarazione, quella del Presidente del Consiglio, che di per sé sembrerebbe del tutto normale, quasi scontata. E invece le cose non stanno proprio così. Basta leggere cosa ha detto qualche settimana fa il capogruppo del Pd alla Camera, il renzianissimo Ettore Rosato, per rendersene conto: “Penso che dopo il via libera alla legge di bilancio la legislatura sia ragionevolmente finita”. Il che significa chiudere la porta ad altri provvedimenti significativi, auspicando una fine anticipata subito dopo Natale.
Seguendo la linea del premier, invece, la legislatura dovrebbe terminare ufficialmente nel marzo del 2018 per poi andare alle urne presumibilmente ad aprile. Ci sarebbero quindi i tempi tecnici per approvare altri provvedimenti, ad esempio lo Ius soli. E infatti, sempre dal palco del Meeting, il premier ha fatto capire a chiare lettere che lo ius soli può (deve?) andare avanti. “Il governo non deve avere paura di riconoscere diritti e di chiedere rispetto dei doveri anche a chi in Italia è nato e studia nelle nostre scuole”. Chiarissimo. Ora è vero che a parole Gentiloni aveva comunque annunciato una ripresa del tema dopo la pausa estiva. Tuttavia, è vero anche che, dopo la scoppola alle amministrative di giugno, in casa Pd quasi nessuno ha più osato parlarne. A maggior ragione dopo che alcuni sondaggi hanno certificato l’avversione dei cittadini nei confronti del provvedimento che attribuirebbe la cittadinanza italiana ai bambini nati in Italia da genitori stranieri o arrivati in Italia da piccoli.
Gentiloni, sempre dalla platea ciellina, ha definito lo Ius soli una misura “inclusiva” e di “contrasto alla radicalizzazione” in un’ottica di prevenzione contro la minaccia terroristica. Ma forse al premier sfugge qualche dettaglio importante. Anche perché la realtà sembra andare proprio nel verso opposto a quello indicato dal premier. Se si pensa che quasi tutti gli attacchi terroristi di stampo islamista sono avvenuti per mano di cittadini europei (Parigi, Nizza, Bruxelles, Londra…) nati da genitori stranieri, qualche dubbio sulla cittadinanza come “metodo inclusivo” sorge spontaneo. In più, secondo diversi analisti, una delle ragioni che hanno tenuto per ora immune l’Italia dal terrorismo di matrice islamica risiede nel fatto che nel nostro Paese ci sono molti meno immigrati di seconda e terza generazione, ovvero quelli potenzialmente a maggior rischio di frustrazione e radicalizzazione.Proprio per questo, il nostro Paese, non avendo concesso la cittadinanza ai figli degli immigrati, ha la possibilità di fare rapido ricorso allo strumento dell’espulsione nei confronti dei soggetti considerati pericolosi, provvedimento inapplicabile a chi ha acquisito la cittadinanza. Non solo. Bisogna tener conto che l’ “inclusione” di cui parla il premier si concretizzerebbe di fatto solo con il diritto di voto, dato che i figli di immigrati nati in Italia godono già ora di tutti i diritti, persino quello di poter vestire la maglia della Nazionale italiana di calcio. Concedere il diritto di voto significherebbe, dunque, creare una pressione politica non da poco, perché i partiti avrebbero meno autonomia nel trattare le richieste provenienti da soggetti che di fatto hanno un peso elettorale.
Detto tutto ciò, viene da farsi qualche domanda: ma perché ora è necessario privarsi di questi strumenti che, in fin dei conti, ci garantiscono una maggiore difesa nei confronti del terrorismo islamico? Ma soprattutto, pur sapendo con certezza che al Senato l’approvazione dello Ius soli è praticamente una chimera, a maggior ragione alla vigilia delle elezioni politiche, come mai Gentiloni spinge proprio ora sul provvedimento? Non è che i distinguo del premier sulla fine della legislatura e sulla cittadinanza ai figli di immigrati rispetto alla linea renziana sono il segnale di nuovo ruolo che il buon Paolo vuole iniziare a recitare? Magari proprio quello del “pontefice”, nel senso di aprire ponti verso la Chiesa bergogliana, dato che anche Papa Francesco è entrato a piè pari nel campo politico chiedendo l’introduzione dello ius soli, oppure verso la sinistra dentro e fuori il Pd? Chi vivrà vedrà.