Nel 2017 Emmanuel Macron si era presentato ai francesi come l’uomo che, attraverso le riforme, avrebbe cambiato il volto della nazione. Ma non aveva fatto i conti con le difficoltà della contingenza e col tempo necessario in politica per mettere la macchina sul percorso: tra l’affaire Banella, la crisi dei gillet gialli e l’emergenza Covid, più di metà mandato se ne è volato e la riforma che ha fissato la durata della permanenza del Presidente all’Eliseo in cinque anni – dai sette originariamente previsti dalla Costituzione della V Repubblica – non concede tempi di recupero.
E così il povero Macron si trova ora ad un bivio: utilizzare il tempo rimasto per provare quanto meno a edulcorare le conseguenze della crisi che si annunzia assai dura per questo autunno o rilanciare il profilo riformatore della sua presidenza. I due anni e mezzo scarsi che gli restano, considerati i tempi parlamentari necessari per l’approvazione dei provvedimenti, gli consentiranno assai difficilmente di essere incisivo su entrambi i terreni. Anche perché le riforme che si annunciano, piuttosto che rilanciare e modernizzare il Paese, sembrano pensate per tenere assieme la sua maggioranza sempre più recalcitrante e anarchica: ecologia, bioetica, differenziazione territoriale non appaiono oggi, agli occhi di molti francesi, delle effettive priorità.
Macron, dunque, è in difficoltà. Rischia di finire il quinquennio in mezzo al guado. E questa diagnosi è in fondo confermata anche se si considerano le scelte degli uomini compiute, da ultimo, dal Presidente. Il suo nuovo Primo Ministro, Jean Castex, ha il compito di portargli i favori e le simpatie dell’elettorato di destra: il suo pragmatismo e il suo linguaggio lasciano pochi dubbi a proposito. Ma quegli stessi ambienti potrebbero essere allontanati da alcune delle riforme “sovrastrutturali” che si annunziano, iniziando da quelle pensate per governare la vogue ecologista.
Dopo le ultime elezioni amministrative le speranze di rielezione di Macron sembrano legate innanzitutto al tentativo di presentarsi, al momento decisivo, come il candidato “meno peggiore” per gli elettori di destra. Per questo, egli dovrà essere in grado di sopravanzare al primo turno il candidato ufficiale dei Les Repubblicains e dei loro alleati. Il miracolo riuscì nel 2017 per motivi in fondo contingenti ma anche perché Macron pareva aggiungere qualcosa di originale alle ricette abituali della destra non sovranista. Quel tratto di novità, però, è andato disperso e non c’è più tempo per recuperarlo. Per questo, valutando i comportamenti del Presidente assieme alle prime uscite pubbliche del suo nuovo Capo del Governo, viene da pensare che questa volta tra l’originale e la copia, i francesi potrebbero orientarsi con decisione verso la prima opzione.